L’Onu
parla
di
“pausa
temporanea”,
ma nessuna
delle
due parti
ha mai
digerito
un
dialogo
senza
basi
comuni.
La Turchia
ottiene
i
3 miliardi
di
euro da
Bruxelles
e prosegue
con la campagna
contro
i
kurdi
L’ambasciatore siriano all’Onu al-Ja’afari
di Chiara Cruciati
– Il Manifesto
Roma, 4 febbraio
2016, Nena
News – Il tavolo di
Ginevra è sospeso: «C’è ancora lavoro
da fare – ha detto ieri sera l’inviato Onu de Mistura – Non è la fine,
non è il fallimento del dialogo».
Se ne riparla – ha aggiunto – fine mese, il 25 febbraio.
Ma la «pausa temporanea» di cui eri parlava de Mistura è una coperta corta: il negoziato in realtà non è mai partito perché nessuna delle parti lo ha mai digerito. Tanto che sul campo si
continua a combattere.
Ieri missili sparati dalle opposizione
a Daraa hanno ucciso
10 civili,
secondo l’agenzia di Stato Sana, mentre il governo di Damasco annunciava
la ripresa dei
due villaggi di Nubel
e al-Zuhra,
nella provincia di
Aleppo.
Con loro è stata rioccupata la strategica strada di collegamento
tra la città e il confine turco,
unica via di rifornimento per i gruppi anti-Assad a nord. Secondo le opposizioni proprio questa operazione li ha spinti a cancellare il
meeting di martedì con l’Onu: «Si tratta
di un’accelerazione massiccia dell’aggressione militare del
regime», aveva detto l’Hnc.
Una cancellazione che aveva molto
infastidito de Mistura: «Il
livello di fiducia tra le parti è vicino allo zero». Ognuno tira acqua al suo mulino: il capo negoziatore del governo al-Ja’afari che lamenta di non avere ancora la lista degli invitati a Ginevra («Aspettiamo Godot, ma Godot non è ancora arrivato»); le opposizioni che continuano a chiedere la fine dei raid russi; Mosca che, per bocca del ministro degli Esteri Lavrov, boccia la richiesta («I bombardamenti non cesseranno fino a quando non avremo sconfitto organizzazioni terroristiche come
al-Nusra»).
Nel mirino russo è finito anche l’accerrimo nemico, Ankara,
e il confine tra Siria e Turchia:
ieri, prima delle sospensione, Lavrov aveva indicato nella chiusura della frontiera (da cui per anni sono transitati miliziani islamisti e armi) il primo passo verso il cessate il fuoco.
Una dichiarazione che è un attacco
a chi finora avrebbe bloccato il negoziato,
l’asse Ankara-Riyadh, longa
manus dietro le opposizioni
dell’Hnc.
In arrivo i
3 miliardi europei
La Turchia, da parte sua, non
cede di un millimetro e
continua a combattere la sua
guerra nel nord della Siria,
contro la compagine kurda considerata braccio del
Pkk oltre confine. Dopotutto è protetta dall’impunità garantita dall’Occidente. Ieri quell’impunità si è espressa con la definitiva approvazione da parte di Bruxelles del pacchetto di aiuti da 3 miliardi di euro per l’accoglienza dei profughi. La stragrande maggioranza di loro, 2,5
milioni, sono siriani. Pagano una guerra di
cui la Turchia è parte e che ogni giorno
di più si
sposta dalla Siria al sud est turco.
Il numero di morti civili
aumenta, circa 170 da agosto, come aumenta il numero di
sfollati. Ieri dal distretto di Sur, a Diyarbakir, centinaia di persone hanno caricato i propri effetti personali su carretti e camioncini e sono fuggiti, seguendo altre migliaia di residenti già scappati. Hanno approfittato della parziale
sospensione del
coprifuoco che soffoca il centro
della città kurda da metà
dicembre. Televisioni, borse, tappetti: hanno preso
il possibile, trasformando la parte occidentale di Sur in una città
fantasma.
Resta il
coprifuoco a est, dove ieri sono stati
uccisi due poliziotti in scontri con presunti combattenti del
Pkk. E resta anche a Cizre, sotto assedio da 51 giorni.
L’attenzione rimane concentrata
sul sotterraneo in cui da 11 giorni sono
intrappolati 29 civili.
Non tutti vivi: 7 sono morti per le ferite e perché l’esercito turco impedisce alle ambulanze di soccorrerli.
Degli altri 22 non si hanno
più notizie da tre giorni,
un silenzio che strazia i familiari.
A rompere l’assedio hanno provato
10 donne, madri di alcune delle
persone nel sotterraneo. Sono riuscite a raggiungere il cortile, quando
la polizia è intervenuta e
le ha arrestate. Hanno però dimostrato che quanto dichiarato
dal governo non è la verità: lunedì, per sviare le pressioni del partito
di opposizione Hdp, il ministro
degli Interni Efkan Ala aveva accusato il Pkk
di sparare ai civili che
tentavano di uscire dall’edificio. Per questo, aveva
spiegato, restano in trappola.
Diversa
la versione dei cittadini di Cizre secondo i quali l’artiglieria pesante turca colpisce l’edificio appena qualcuno tenta di fuggire da una
casa che cade
a pezzi
e dalla
fame e la sete che attanaglia i prigionieri. Per il presidente Erdogan sono «bugie»,
per il ministro Ala «speculazioni».
Per l’Hdp è un massacro: ieri il leader del
partito Demirtas ha chiesto al governo l’apertura di un corridoio umanitario a Cizre.
Nel silenzio della comunità
internazionale, voce fuori dal coro
è quella dell’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani,
Zeid Ra’ad al Hussein, che lunedì ha fatto
appello ad Ankara perché apra un’inchiesta
sull’uso della forza contro i
civili nel sud est del paese: «Se ufficiali dello Stato hanno commesso
violazioni, devono essere perseguiti».
L’Isis si allarga
in Libia
Chi beneficia dell’eterno stallo nel negoziato siriano
e degli interessi particolari di certi paesi è l’Isis,
dal Medio Oriente al Nord Africa. Ieri un funzionario dell’intelligence
libica ha detto alla Bbc dell’arrivo
a Sirte di diversi comandanti dell’Isis, in fuga da Iraq
e Siria e dai bombardamenti della coalizione e dell’aviazione di Mosca. Aumentano i
foreign fighters, ma anche i
leader. Se così fosse in Libia si prospetterebbe
un’offensiva ancora più massiccia.