15 -02- 2016

Al telefono Obama e Putin tentano di ricucire ma nessuno è interessato alla pacificazione. Damasco accusa Ankara di aver dispiegato truppe nel proprio territorio, i Saud mandano i cacciabombardieri

AGGIORNAMENTO ore 13 – COLPITI OSPEDALE DI MEDICI SENZA FRONTIERE E UNA CLINICA AD AZAZ: 23 MORTI

Questa mattina un ospedale di Medici Senza Frontiere, fa sapere l’organizzazione, è stato colpito da due bombardamenti. Si tratta di una struttura nella provincia di Idlib. Sarebbero almeno 9 i morti nel doppio raid compiuto da 4 missili lanciati a poca distanza l’uno dall’altro.

“Questo è un attacco deliberato – ha detto Massimiliano Rebaudengo, capo della missione Msf in Siria – La distruzione dell’ospedale priva 40mila persone di assistenza sanitaria”. Per ora non si hanno informazioni sul responsabile dell’attacco, se si tratti di un raid russo, della coalizione o turco.

Nelle stesse ore un altro ospedale pediatrico veniva colpito, insieme ad una scuola, nella città di Azaz: 14 i civili uccisi. Cinque missili hanno colpito il centro cittadino dove si trovano la clinica e la scuola. Azaz, controllata dalle Ypg kurde, ha visto in questi giorni l’arrivo di 10mila rifugiati siriani in fuga da Aleppo. Negli ultimi due giorni è stata target di bombardamenti da parte dell’esercito turco, ma anche in questo caso non si hanno informazioni certe sul responsabile dell’attacco.

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di Chiara Cruciati

Roma, 15 febbraio 2016, Nena News – La linea rossa tra Casa Bianca e Cremlino è tornata a funzionare. Suggestizioni da guerra fredda, ma poco distanti dalla realtà: la crisi siriana ricorda da vicino altre temibili crisi del secolo scorso.

La differenza sta nelle modalità: si discute continuamente, ci si presenta in conferenza stampa dopo meeting subito definiti storici, si presentano accordi di tregua e poi si fanno risuonare le sirene della guerra. Da giovedì sera, quando Onu, Russia e Stati Uniti hanno annunciato il via alla cessazione delle ostilità, la guerra guerreggiata si è intensificata invece che stemperarsi.

Per questo nel pomeriggio di ieri è intercorsa una telefonata, per ricucire, per stemperare le tensioni, tra il presidente Usa Obama e quello russo Putin. Obama ha chiesto all’avversario di interrompere i bombardamenti contro le opposizioni legittime (definizione su cui i due fronti ancora non si sono messi d’accordo), mentre Putin ha ribadito il sostegno al governo di Damasco e reiterato l’intenzione di colpire il terrorismo. I due però si sono salutati promettendosi impegno per implementare insieme l’accordo di Monaco.

Parole contro bombe. Nelle stesse ore la Turchia proseguiva con i raid contro le postazioni delle Ypg kurde nel nord della Siria. E qui tornano le contraddizioni del fantomatico processo di pace: Ankara, membro Nato e alleato statunitense, bombarda un gruppo che è considerato da Washington partner sul campo di battaglia contro lo Stato Islamico. Per questo ieri la Casa Bianca è stata costretta a riprendere l’alleato turco, chiedendo debolmente lo stop dei bombardamenti. Risponde il premier Davutoglu: non ci sarà alcuna interruzione. Dichiarazioni che palesano – se ce ne fosse ancora bisogno – la visione che di al-Nusra e Isis ha Ankara: non nemici globali come dovrebbero essere, ma strumento di destabilizzazione della Siria, quindi utilizzabili ai propri fini. Normale avanzare dubbi sul ruolo della Nato: difficile immaginare che Ankara operi in autonomia, come una scheggia impazzita, senza riferire nulla al Patto Atlantico.

Le bombe turche hanno ucciso almeno 30 combattenti kurdi e, riporta RT, anche due civili nel villaggio di Maryamayn. Tra i target c’è la base militare di Menagh, strappata dai kurdi ai qaedisti di al-Nusra, e punto di partenza strategico verso ovest.

Il presidente turco Erdogan è cristallino: le Ypg kurde, considerate gruppo terroristico perché legato al Pkk, non possono avanzare oltre. Ankara le vuole lontane da Aleppo, dal fiume Eufrate, e dal creare un’entità autonoma lungo tutto il confine tra Siria e Turchia. Ma le prede sono due: non solo i kurdi del Partito dell’Unione Democratica, ma anche il presidente Assad che ormai circonda Aleppo e minaccia di spazzare via militarmente le opposizioni.

La tensione è altissima: Damasco ha prima fatto appello al Consiglio di Sicurezza Onu perché ordini lo stop dei raid contro i kurdi e poi accusato Ankara di aver dispiegato truppe all’interno del proprio territorio, un centinaio di uomini tra “miliziani islamisti, mercenari turchi e militari turchi” entrati in Siria con 12 pick up e armi pesanti. Un’accusa che Ankara rispedisce al mittente, nonostante sia confermata da un’organizzazione come l’Osservatorio Siriano, anti-Assad: non abbiamo soldati, dicono i turchi, né ne invieremo. Una difesa debole, vista soprattutto l’alleanza strategica con l’Arabia Saudita che da giorni getta benzina sul fuoco dicendosi pronta ad intervenire in Siria contro l’Isis (in realtà contro Assad). Riyadh ha già inviato cacciabombardieri nella base aerea turca di Incirlik e manderà forze speciali di terra. Saranno dispiegati, aggiungono i Saud, solo su richiesta della coalizione guidata dagli Usa.

Ma la minaccia basta a montare le tensioni, a rendere carta straccia l’accordo farsa di Monaco e a complicare le operazioni di consegna degli aiuti umanitari alle zone assediate, condizione prevista giovedì scorso. Alla base stanno le differenze di visione dei due fronti che mai si sono realmente accordati sulla soluzione politica della crisi: ogni attore ha interessi particolari da imporre e nessuno cede di un passo. In ballo non c’è solo la Siria, ma i futuri equilibri di potere in Medio Oriente, la rete di influenza di Iran e Arabia Saudita (rallentata dalla guerra scatenata in Yemen e preoccupata per le potenzialità economiche e militari di Teheran dopo l’accordo sul nucleare), la bilancia dei poteri tra Nato e Russia. Nena News