16 -02- 2016
«L’avvicinamento
tra curdi siriani e Assad potrebbe essere la motivazione principale
dell’attacco della Turchia nel nord della Siria. L’alleanza ha, però, contorni
ambigui e la sua durata dipenderà dalle diverse scelte di lungo periodo dei due
attori» scrive Francesca La Bella
di Francesca La Bella
Roma, 16 febbraio 2016, Nena News- Fin dai
primi mesi della rivolta siriana contro il Governo di Bashar al Assad è
risultato evidente il ruolo centrale che sarebbe stato ricoperto dalla
componente curda all’interno della Siria. La capacità di mantenere un
significativo controllo territoriale nonostante gli attacchi
incrociati di milizie ribelli, Governo ed altre entità internazionali, come la
Turchia, ha dimostrato che la variabile curda avrebbe avuto un peso
sostanziale nel determinare le sorti della guerra in atto. Ad oggi,
dopo gli attacchi turchi alle postazioni delle milizie curde nel nord della
Siria, appare fondamentale analizzare le scelte del PYD (Partito dell’Unione
Democratica) e dei gruppi militari facenti riferimento al partito curdo per
provare a comprendere la possibile evoluzione della situazione nell’area.
Se, inizialmente, il posizionamento dei
curdi-siriani poteva essere assimilato a quello di altre milizie ribelli ed
alleanze erano state strette sia con parti dell’Esercito Libero Siriano (ESL)
sia con alcuni gruppi minori, il rafforzamento dei gruppi islamisti come Jabhat
al Nusra e lo Stato Islamico, oltre alle irrisolte problematiche con Ankara,
hanno indotto un avvicinamento al Governo. Evidenze empiriche di questa
vicinanza possono essere considerate le dichiarazioni di Assad che, negli
ultimi mesi dello scorso anno, ha più volte affrontato la questione
La realtà, però, potrebbe essere ben più
articolata di come appare e la geometria variabile delle forze in campo e delle
relazioni tra di esse, restituisce un’immagine meno lineare e altamente
differenziata a seconda del contesto territoriale e delle fasi belliche. La
dichiarazione che, probabilmente, meglio descrive la strategia messa in campo
dalle forze curde siriane è quella rilasciata ad agosto 2014 da Redur
Khalil, portavoce delle YPG durante gli scontri ad Hasakah. Il
comandante curdo, infatti, per spiegare la presenza di forze governative
nell’azione di contenimento e respingimento dello Stato Islamico, dichiarò che
l’YPG avrebbe collaborato con chiunque per espellere gli estremisti dalle
proprie aree nel nord-est della Siria. Per quanto datata, questa
affermazione ci permette di leggere sotto una diversa luce molte delle alleanze
e delle scelte strategiche fatte negli anni dai curdi siriani.
Nonostante sul campo di battaglia ci sia
stata, in molte occasioni, una convergenza nelle azioni di curdi-siriani e
Governo centrale, come nel caso dell’avanzata su Aleppo, gli obiettivi
paralleli ed, a volte, confliggenti, dei soggetti coinvolti, hanno determinato
diverse strategie di intervento e scontri, anche armati, tra le due parti. E’
di fine gennaio, ad esempio, la notizia del bombardamento da parte delle forze
YPG di un blocco di sicurezza delle forze fedeli al presidente Assad ad Aleppo
in risposta ad attacchi aerei del Governo che hanno colpito il quartiere curdo
di Sheikh Maqsoud ad Aleppo.
Anche da parte del Governo, però, la
posizione assunta rispetto alla questione curda risulta ambigua. Nonostante le
numerose aperture nei confronti della forza che maggiormente è riuscita a
contrastare l’avanzata delle compagini jihadiste nei territori di sua
competenza, le dichiarazioni rilasciate da Sharif Shahada, membro del Governo
Assad durante una sua visita ad Erbil a fine dicembre, sembrano indicare che
all’alleanza strategica sul campo di battaglia non corrisponderebbe una
politica comune per la costruzione della futura Siria. Interrogato sui
rapporti tra Damasco e le forze curde, Shahada avrebbe, infatti, affermato che
alle forze politiche di PYD siriano e PKK turco (Partito curdo dei lavoratori)
non verrà concessa agibilità nel Paese qualora si dovesse raggiungere un nuovo
equilibrio e la pace. Secondo il Ministro, infatti, la collaborazione
bellica tra le diverse forze non significherebbe né la rinuncia all’integrità
territoriale a favore di uno Stato curdo né la cessione delle prerogative
proprie del Governo centrale ad altre realtà territoriali. Se da un lato,
dunque, le scelte di Damasco appaiono motivate dalla volontà di decentrare la
difesa territoriale, delegando ad altre forze, territorialmente ben radicate,
l’opera di contenimento delle forze islamiste, dall’altro il Governo non intende
perdere il proprio controllo esclusivo sulle operazioni e sulle possibili
evoluzioni della questione.
Per quanto riguarda le forze curde, invece,
le scelte strategiche sul campo e le alleanze strette sembrano dipendere sia da
condizioni contingenti sia da progettualità di più lungo periodo. Nella
situazione attuale, i curdi siriani mantengono il controllo di un area priva di
continuità territoriale, stretta tra le forze dello Stato Islamico e
dell’esercito turco e, in molti frangenti, a causa della chiusura sia del
confine turco sia del confine iracheno, privata di canali di esodo per i
profughi e di ingresso per merci, armi e persone. In questa condizione, l’alleanza
con il Governo centrale risulta funzionale per il rafforzamento
Se la guerra dovesse finire e il nemico
comune dovesse essere sconfitto, le differenze potrebbero riaffiorare con
forza, aprendo ad una difficile fase di trattativa che potrebbe non limitarsi
all’ambito politico, sfociando, infine, in quello militare. Nena News
Francesca La Bella è su Twitter @LBFra