25 -02- 2016
dalla Siria
settentrionale, dove migliaia di sfollati cercano scampo dai raid russi su
di Federica Iezzi*
Afrin, 25 gennaio 2016, Nena News – Cambiano i
nomi delle città, le strade seguite, le terre raggiunte. Rimane costante la
fuga di civili stanchi e rassegnati, il flusso di rifugiati, i volti
terrorizzati di bambini senza infanzia. Questa è la volta di Afrin, una città
della regione curda della Siria settentrionale. A nord-ovest della provincia di
Ancora 200 mila civili sono rimasti
intrappolati nei quartieri orientali di Aleppo, dove l’intensificarsi dei
combattimenti ha spezzato le principali vie per l’ingresso di aiuti umanitari.
Colpiti i quartieri di Ashrafia, Bani Zaid e Bustan al-Qasr, ultimi siti di
passaggio tra i cecchini ribelli e le forze governative.
«Vedo la mia città morta» ci dice Layal, una
giovane donna in fuga dal quartiere di al-Shaar di
Centinaia di raid aerei russi sul nord-ovest
della campagna di
Migliaia di rifugiati sono rimasti ammassati
per giorni a ridosso degli unici due valichi ufficiali con la Siria, quello di
Cilvegözü/Bab al-Hawa, nei pressi della città turca di Reyhantlt, a circa
trenta chilometri a est di Ankara, e quello diBab al-Salama, nei pressi di
Kilis, a circa di
I valichi tra Siria e Turchia sono chiusi da
almeno dieci mesi. L’accesso in Turchia è permesso solo per cure mediche, solo
a rifugiati con lesioni gravi. A tutti gli altri è stato rifiutato l’ingresso,
lasciando anziani e bambini in condizioni critiche, al di fuori dei cancelli e
delle reti di filo spinato che indicano il confine turco.
Campi spontanei dalle tende fatiscenti e
carri armati turchi fanno da quadro all’ennesima migrazione forzata di
Layal ci racconta che dopo giorni rimasta ferma con la sua famiglia fuori dal
valico che separa la sua terra da Kilis, ha camminato a piedi, con sua figlia
in braccio, per più di trenta chilometri verso Afrin. È stata accolta nel campo
rifugiati di Robar e ci dice: «Sto cercando di ottenere ancora una tenda per
ripararmi dalla pioggia sempre più intensa di questi giorni. Fino ad ora ho
dormito per terra, su vecchi e freddi materassi.
Incessanti i bombardamenti da parte
dell’esercito turco, nel disperato tentativo di proteggere le postazioni del
Fronte al-Nusra e i salafiti di Ahrar al-Sham, sui quartieri residenziali della
città curda di Afrin e sui villaggi limitrofi di Deir Ballout, Hammam, Firera,
Hasna, Sanar e Hakjeh, nel nord-ovest della Siria.
L’esercito di
E prosegue l’avanzata dei combattenti curdi
dell’Unità di Protezione Popolare, alleati al gruppo ribelle Jaysh al-Thuwar,
costola dell’Esercito Siriano Libero, dal cantone
Rimangono protetti dalle forze curde
dell’YPG, i villaggi di Deir Jamal, Mar’anaz, Ayn Daqna, Kafr Naya, Kafr
Khasher, Shayk Isa e Tal Rifaat, a nord di Aleppo, tagliando l’ultima linea di
rifornimento che collegava la Turchia ai ribelli islamisti.
Sotto la difesa dell’ala militare del Partito dell’Unione Democratica curdo, il
campo di Robar è diventato un rifugio sicuro per le famiglie siriane distrutte
dalle conseguenze di una guerra senza vinti né vincitori.
Layal ci racconta che sente le esplosioni e
vede i caccia sorvolare i cieli grigi: «Camminavo tra gli ulivi per raggiungere
Afrin, senza mai smettere di guardare quegli aerei militari sopra la mia testa.
Sapevo che dietro di me lasciavo bombardamenti e morte. E sapevo che davanti a
me avrei trovato la stessa cosa. Perché la Siria ormai è tutta così».
Da più di una settimana non si ferma il
flusso di rifugiati che cerca pace. Circondati da materassi, teli di plastica e
tappeti. L’YPG, in assenza di organizzazioni umanitarie internazionali, ha
predisposto un piano di accoglienza, mettendo a disposizione mezzi di
trasporto, coperte, medicine e riparo negli edifici scolastici e nelle tende
che si moltiplicano ora dopo ora.
Tajdin, viso gentile e un’arma in mano
puntata verso terra, combatte nell’YPG. «tiamo cercando di fornire assistenza
di base — tacconta — ma non è sufficiente. Arrivano tante famiglie con figli
piccoli, senza coperte e senza acqua da bere».
Quasi 2.000 le famiglie giunte nel campo
rifugiati di Robar, nella regione di Sherawa, nella parte orientale della città
di Afrin, in poco meno di una settimana. «Abbiamo poche tende per l’imprevisto
afflusso di civili. La maggior parte di loro dorme ancora per terra», continua
Tajdin.
I tendoni sono in cattive condizioni, gli
impianti idrici limitati, le strutture sanitarie assenti, i servizi igienici
incompleti senza sistema fognario. L’acqua potabile arriva da pozzi artesiani
costruiti ai margini
Il personale sanitario della Mezzaluna Rossa
siriana monitora le condizioni di salute nel campo per mezzo di una modesta
clinica mobile. Si riescono a gestire agevolmente infezioni respiratorie e
gastrointestinali, patologie croniche e traumi contenuti. Per i casi più gravi
si fa riferimento all’Afrin hospital, a circa
Continua la distribuzione di vitamine e
addensanti per i casi di malnutrizione, in bambini di età inferiore ai sei
mesi. Si fa fatica a garantire una corretta alimentazione a tutti. Distribuiti
anche vestiti a neonati e ragazzini.
Campo inizialmente progettato per ospitare al
massimo 15 mila sfollati in cinque ettari di terreno, oggi il Robar
Per questo migliaia di profughi vivono in
campi spontanei nell’area attorno al villaggio di Raju, nel governatorato di
Aleppo. I bambini giocano tra tende di fortuna, legno ricoperto di plastica,
cartone e vecchi tappeti. Ogni insediamento, assente nelle cartine geografiche
e negli itinerari delle organizzazioni umanitarie, ospita un centinaio di
persone.
La crescita esponenziale
Tajdin ci racconta che è anche difficile garantire la sicurezza nei campi
informali: «Non hanno recinzioni e chiunque può accedere senza alcun permesso».
I colpi di arma da fuoco sono la compagnia
quotidiana. Il fumo e la polvere sono quello che resta
* Cardiochirurgo pediatra e praticante
giornalista