12 -03- 2016

A due giorni dal via al negoziato di Ginevra, la Nato annuncia l’arrivo di aerei al confine turco-siriano e di navi militari lungo la costa. La comunità internazionale progetta un paese diviso in entità amministrative diverse, contrario alle ambizioni di Damasco e gruppi anti-Assad

di Chiara Cruciati – Il Manifesto

Roma, 12 marzo 2016. Nena News – L’accordo dell’11 febbraio tra Nato e Turchia è in corso di implementazione: il Patto Atlantico sta iniziando a dispiegare un proprio sistema di sorveglianza e monitoraggio al confine turco-siriano. Lo ha reso noto ieri il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, definendo Ankara il membro più danneggiato dalla crisi siriana. Per questo alla frontiera più calda arriveranno aerei da guerra, batterie di missili e, lungo la costa, navi militari.

La richiesta di una maggiore presenza era stata reiterata dal premier turco Davutoglu quattro giorni fa, durante una visita al quartier generale della Nato a Bruxelles: «Vogliamo vedere una presenza più visivbile al nostro confine, che faccia da deterrente a chi ha l’intenzione di testare le capacità della Nato».

Di navi già ce ne sono, su quel tratto di Mar Egeo che sta portando barconi di rifugiati siriani lungo le coste elleniche. Ora aumenteranno: «Abbiamo deciso di incrementare il numero di navi – dice Stoltenberg – Ce ne sono già cinque, ne arriveranno altre nei prossimi giorni». Una presenza, quella del Patto Atlantico, che sembra essere un monito ai sogni di grandezza della Russia, sempre più leader nei tentativi di stabilizzazione della Siria.

Lunedì dovrebbe essere il grande giorno, il via ufficiale al negoziato tra governo e opposizioni. Ieri l’Hnc, Alto Comitato per i Negoziati, federazioni dei gruppi anti-aAssad figlia del tandem Turchia-Arabia Saudita, ha annunciato la propria partecipazione dopo i tentennamenti dell’ultima settimana: dopo l’entrata in vigore della tregua, il 27 febbraio scorso, aveva cambiato idea più volte a causa delle violazioni imputate alle forze governative.

In un comunicato pubblicato ieri, l’Hnc accetta di sedersi al tavolo in risposta ai «sinceri sforzi internazionali per trovare una soluzione politica» e porre fine ad una quinquennale guerra civile. Ha poi precisato che a Ginevra le opposizioni faranno pressioni per la creazione di un governo di transizione con pieni poteri esecutivi nel quale il presidente Assad e il suo establishment politico non rivestano alcun ruolo. Di per sé, già una precondizione che va contro ai tentativi di conciliazione sponsorizzati da Onu, Usa e Russia che immaginano un esecutivo temporaneo di unità insieme ad Assad almeno fino alle elezioni parlamentari e presidenziali. Poi, Assad sarà con molta probabilità messo da parte. Nei piani delle Nazioni Unite il voto si terrà tra 18 mesi e non ha metà aprile come unilaterlamente annunciato dal governo poche settimane fa.

Chi ancora resta fuori dalla porta sono i kurdi siriani, espulsi dal negoziato su preciso diktat della Turchia. Ieri a ridiscutere l’eventuale presenza del Partito dell’Unione Democratica, rappresentante politica della kurda Rojava, è stato il ministro degli Esteri russo Lavrov che ha chiesto all’inviato Onu de Mistura di invitare la compagine. La loro assenza, ha detto, rappresenterebbe «un segno di debolezza da parte della comunità internazionale». Al contrario, è il segno del potere negoziale ancora rivestito da Ankara grazie all’emergenza profughi e al ruolo di provocatore di Mosca che la Nato gli ha affibbiato. Erdogan e il monarca saudita Salman hanno il diretto controllo delle opposizioni ammesse a Ginevra, ne decidono priorità e precondizioni. E i kurdi non ne sono parte.

Su un punto, però, Damasco e opposizioni sembrano sulla stessa linea d’onda: la Siria non sarà spartita in entità amministrative diverse ma manterrà unità e integrità statuale. La presa di posizione giunge a seguito di indiscrezioni uscite dai meeting preparatori del negoziato di Ginevra: secondo fonti diplomatiche anonomie, i vari attori internazionali coinvolti starebbero discutendo della possibilità di trasformare la Siria in uno Stato federale, regioni autonome sotto un governo centrale.

«Mantenendo l’integrità territoriale e continuando a consideralo un paese unico, ci sono molti modelli di struttura federale che garantirebbero molta autonomia a diverse regioni», ha detto una delle fonti alla Reuters. A rispondere sono subito le opposizioni: il leader dell’Hnc, Riad Hijab ha definito la proposta «inaccettabile». Il governo di Damasco per ora non si pronuncia ma a settembre, durante un’intervista in cui si toccò l’argomento, il presidente Assad si limitò a dichiarare che simili decisioni spettano al popolo siriano con un referendum. Non alle potenze occidental che amano frammentare il Medio Oriente, da sempre, per renderlo più gestibile. Da parte kurda arriva un’ovvia apertura, non ad una divisione del paese ma ad una decentralizzazione dell’autorità amministrativa.