Limes

 

http://www.limesonline.com/

 

Avanti a testa bassa: i curdi di Siria annunciano il federalismo

La nuova rassegna quotidiana di Limesonline con le notizie principali dal Medio Oriente.

a cura di SiriaLibano

 

In grassetto le notizie, in corsivo il luogo cui si riferiscono (riportato sulla mappa), tra parentesi la fonte, quando disponibile su Internet.


Avanti a testa bassa: i curdi di Siria annunciano il federalismo. Insorgono Ankara, Damasco e le opposizioni siriane

Rumaylan (BBC Arabic) Centocinquanta rappresentanti del cosiddetto “Rojava”, l’ampia porzione di Siria settentrionale controllata dalla filiale siriana del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk), hanno annunciato l’adozione del federalismo a conclusione di una conferenza tenutasi ieri nel nord-est del paese. Il documento conclusivo della conferenza ha ribadito la scelta unilaterale del federalismo, il diritto delle autorità del Rojava di difendere tale progetto politico e quello di “sviluppare le opportune relazioni politiche ed economiche con chi condivide la stessa linea di pensiero.”

La dichiarazione ha innescato le proteste di Damasco e delle opposizioni siriane, che vedono nel federalismo un preludio alla divisione del paese. Anche la Turchia si dice contraria, prevedibilmente preoccupata delle ripercussioni della nascita di una regione semi-autonoma lungo il confine delle sue regioni a maggioranza curda.

Gli Usa, che sul terreno cooperano militarmente con le milizie curde siriane in funzione anti-Is, hanno espresso la loro contrarietà alla nascita di una regione autonoma curda e ribadito che “tale decisione può solo essere accettata se presa collettivamente [tramite un referendum] dai siriani”. I titoli della stampa internazionale sono allarmisti e individuano nella decisione dei curdi siriani un possibile ostacolo nei negoziati indiretti in corso.

Non si può però ignorare che la scelta unilaterale delle autorità del Rojava deriva dalla loro esclusione dai colloqui di Ginevra, nonostante le pressioni russe. Le stesse opposizioni siriane sostenute da Turchia e Arabia Saudita, che ora affermano di rappresentare i curdi siriani contrari alla frammentazione del paese, di fatto non sono mai riuscite a raggiungere un accordo con il Partito dell’Unione Democratica (Pyd), la filiale siriana del Pkk che controlla militarmente e politicamente il Rojava, un terreno che ormai si estende lungo la totalità del confine turco-siriano situato a est dell’Eufrate (con l’aggiunta dell’enclave di Afrin a ovest del corso del fiume).

Il regime siriano conserva una presenza militare nei due principali centri urbani del Rojava, vale a dire al-Hasaka e al-Qamishli, utilizzando ancora l’aeroporto militare situato in quest’ultima città per i suoi raid sulle zone controllate dalle opposizioni. La convivenza delle forze governative e delle milizie curde siriane non è stata esente da attriti, ma di fatto si è instaurata una vera e propria collaborazione nella gestione della sicurezza, coronata da alcune operazioni militari congiunte contro il variegato fronte delle opposizioni.

Non scontrandosi con Damasco, le forze curde hanno di fatto potuto mettere a disposizione dei civili l’aeroporto militare di al-Qamishli, prendere il controllo della maggioranza dei giacimenti petroliferi con il tacito consenso governativo e rimanere esenti dai bombardamenti che hanno devastato le aree controllate dalle opposizioni. A partire dal 2012, la nascita del territorio semi-autonomo del Rojava è avvenuta anche grazie a questo mutuo accordo di non belligeranza.

All’indomani della nascita di questa nuova realtà federalista sgradita a Damasco, rimane comunque improbabile un’escalation militare anti-curda in una regione in cui l’esercito siriano mantiene una presenza alquanto ridotta e quasi priva di contiguità territoriale con le aree sotto il controllo governativo. Perché mai il regime dovrebbe poi privarsi di un prezioso alleato “indiretto” nella lotta alle fazioni dell’opposizione e allo Stato Islamico?


Manifestanti attaccano al-Qaida in Siria, per motivi ideologici e interessi locali

Atareb (fonti locali, media di Maarrat al-Numan, Anab Baladi). Inedite manifestazioni contro l’ala siriana di al-Qaida sono in corso da giorni nel sud della regione di Aleppo e in quella nord-occidentale di Idlib, quest’ultima roccaforte proprio dei qaidisti siriani riuniti sotto le insegne della Jabhat al-Nusra (Fronte della Salvezza).
Le proteste hanno una dimensione nazionale, con il richiamo agli slogan e ai simboli della rivoluzione anti-regime del 2011, ma anche una profonda dimensione locale. Le tensioni, che sono sfociate in alcuni casi in sanguinosi scontri armati con una decina di uccisi in pochi giorni, erano scoppiate in seguito alla repressione da parte dei qaidisti di alcune località della regione di Idlib di manifestazioni popolari anti-regime rese possibili dalla diminuzione dei bombardamenti aerei russi e governativi nel quadro della tregua in corso dal 27 febbraio.

Durante le manifestazioni, i residenti di alcune località della regione di Idlib e della zona a sud di Aleppo, come Atareb, hanno espressamente chiesto alla Nusra di lasciare i centri abitati per evitare di esporre i civili ai raid russi e governativi siriani. Parallelamente, i qaidisti hanno represso con la forza alcuni cortei di protesta anti-regime.
A Maarrat al-Numan si sono registrati gli episodi più clamorosi: dopo l’ennesimo attacco da parte dei qaidisti, la “13ª Brigata“, una milizia locale che viene da più parti definita come sostenuta da Arabia Saudita, Qatar e dagli Usa, ha preso le difese dei manifestanti. La Nusra ha attaccato la sede della 13ª brigata che si è ritirata e ha lasciato sguarniti due suoi depositi di armi. Successivamente, alcuni manifestanti hanno protestato vivacemente contro i qaidisti; alcuni hanno addirittura assaltato e dato alle fiamme la sede della Nusra a Maarra. Manifestazioni anti-Nusra si sono verificate anche ad Atareb, a sud di Aleppo, e in varie località delle due regioni.
Come fanno notare osservatori locali, la questione non va soltanto letta nel quadro dello scontro ideologico e politico tra attivisti anti-regime e miliziani qaidisti (da tempo esistono profili sui social network che denunciano le “violazioni della Nusra“), ma anche nel contesto delle rivalità locali per la spartizione del potere nella zona. I membri della Nusra di Maarra e quelli della 13ª brigata spesso appartengono alle stesse famiglie e i dirigenti delle due fazioni sono in continuo contatto fra loro. Nelle ultime ore a Maarra è stata formata una commissione giudiziaria incaricata di svolgere il ruolo di arbitro tra i due gruppi armati e di “riportare la calma in città”.

Nonostante questo, le proteste contro la Nusra proseguono altrove e nella stessa Maarra. È forse uno degli effetti della tregua del 27 febbraio (dimensione nazionale), ma è anche l’ennesima puntata dello scontro interno tra signori della guerra e mafiosi locali.


Come aggirare Iran, Arabia Saudita e Turchia? Egitto, Iraq e Giordania discutono costruzione oleodotto tra Bassora e Aqaba

Il Cairo, Aqaba, Bassora (Petra News Agency, Hurriyet Daily News) Proseguono i preparativi per la costruzione dell’oleodotto che collegherà i giacimenti di Bassora, nell’Iraq meridionale, con il porto giordano di Aqaba, situato sul Mar Rosso, rifornendo infine di greggio l’Egitto. Si sono tenuti al Cairo la settimana scorsa gli ultimi colloqui tra i ministri dell’Energia dei tre paesi, in seguito alla conclusione dei sopralluoghi tecnici e geologici avviati tre anni fa. Il progetto prevede la costruzione di un oleodotto di circa 1.680 km che diverrà operativo a metà del 2019, secondo le stime ufficiali irachene.

La Giordania si promette così di far fronte al proprio fabbisogno di combustibili fossili messo in crisi dal calo delle esportazioni gasifere egiziane determinato dall’instabilità post-rivoluzionaria del Cairo, mentre l’Iraq cerca di risollevare le sorti della propria economia messa in ginocchio dal crollo dei prezzi del petrolio. Le raffinerie egiziane saranno infine l’ultima fermata delle esportazioni di greggio iracheno provenienti da Aqaba. In questo modo Baghdad cerca di rimpiazzare il partner turco, con il quale anni addietro stava discutendo la costruzione di un oleodotto tra Bassora e il porto di Ceyhan, nella regione di Adana, prima che la spregiudicatezza delle compagnie turche nel Kurdistan iracheno facesse saltare il tutto.

In tale crisi si inserisce il rapporto tra Arbil e Baghdad, costantemente incrinato dalle dispute sulla spartizione degli introiti petroliferi, e dalla conseguente opposizione del governo centrale a ogni forma di accordo siglato tra la regione autonoma e partner internazionali senza passare dalla capitale. In questa ottica competitiva tra Arbil, Baghdad e Ankara si collocano anche i progetti per la costruzione di un secondo oleodotto che congiunga Kirkuk, attualmente controllata in toto dalle Peshmerga curde, e Ceyhan.

L’accordo tra Egitto, Iraq e Giordania mira inoltre ad aggirare la Turchia e le crescenti tensioni innescate dalla presenza militare turca nella regione irachena nord-occidentale di Ninive. Prevede anche la costruzione di un gasdotto lungo la stessa tratta, che potrebbe però non essere gradito a Israele, che inizierà a rifornire il regno hascemita di gas naturale a partire dal 2017. L’oleodotto che congiungerà Bassora e Aqaba si propone inoltre di rimanere lontano dallo Stretto di Hormuz e di evitare di passare dall’Iran e dall’Arabia Saudita alla luce delle attuali tensioni tra Riyad e Teheran.

Rimane da verificare la fattibilità di tale progetto dal punto di vista della sicurezza, considerando che interesserebbe i territori della regione occidentale irachena dell’Anbar, contesa tra i miliziani dell’Is e Baghdad.