Mercoledì
30 Marzo 2016
Rojava:
la rivoluzione sotto assedio
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Alla periferia sud di Qamishlo, Rojava, un macellaio curdo offre il suo punto di vista sulla situazione attuale:
“Si stava così bene sotto il presidente Assad, c'era
la pace. La gente dice che si stava male, ma non è
vero: se ti facevi i fatti tuoi, la polizia non ti infastidiva. Adesso invece è
pieno di uomini armati cui sembra sia tu a dover
dimostrare di non aver nulla da temere”. Il riferimento è agli Asaysh, la polizia autonoma costituita con il difficile
compito di difendere le fragili istituzioni rivoluzionarie. Da chi? Dallo stato
islamico, in primo luogo, che fino a un anno fa
riusciva impunemente a uccidere decine di persone nelle città del Rojava, inviando attentatori suicidi in auto, in camion, in
motorino. Ciò che a Parigi e a Bruxelles è un'eccezione, in tutto il Rojava fino a pochi mesi fa era la
regola: alla guerra “di trincea” tra Is e Ypg si affiancava la guerra non convenzionale delle
esplosioni e delle bombe (che in Siria, è noto, da un bel po' non fa notizia).
(foto reperita sul web)
Ora le
cose sono migliorate, ed anche l'ultimo Newroz
(contrariamente a quello precedente) è stato incruento. Tuttavia
lo stato islamico non è l'unico nemico del Rojava.
Ad esempio, sul piano dell'analisi generale, si sottolinea
giustamente come le forze siriane democratiche (Sdf),
create su impulso delle Ypg, adottino una politica
(ricambiata) di non belligeranza con il governo di Damasco. L'esercito arabo
siriano (Asa) del regime, tuttavia, controlla l'areoporto di Qamishlo, e lo
stesso Abdilkerim Sarozan,
responsabile della difesa presso il consiglio esecutivo del Rojava
(una sorta di governo provvisorio autonomo non eletto, frutto dell'accordo,
propiziato nel 2012 dal Pyd, tra le principali
comunità religiose e partiti politici del Rojava)
ammette di non essere in grado di fornire cifre sul numero di soldati che ogni
giorno atterrano e decollano dalla struttura. Parte di questi soldati, oltre ad
essere dispiegati, a scopo puramente simbolico, in una postazione sul confine
turco, supportano poliziotti e vigili urbani del
governo di Damasco presso alcune strade del centro di Qamishlo
e di quello di Hassake, dove alcuni servizi (ad es.
le poste) sono gestiti dal regime, che ne approfitta per ricoprire le facciate
degli edifici con le usuali, patetiche gigantografie del presidente.
I
soldati e i poliziotti di Assad
non si limitano a dirigere il traffico o a spedire telegrammi: effettuano
arresti. Quattro curdi sono stati arrestati, per
ragioni non chiare, a Qamishlo una settimana fa. Non
appena si è diffusa la notizia, gli Asaysh e le Ypg hanno iniziato ad arrestare tutti i poliziotti, i
vigili urbani o i soldati del governo che si trovassero a loro tiro, fino a un numero imprecisato che si è aggirato attorno ai 50 e i
100. Le forze curde hanno quindi circondato il quartier generale dell'Asa,
impegnando i soldati di Assad
in scontri a fuoco per diverse ore, sia pur senza vittime. Ne
è seguito il rilascio dei quattro arrestati, ma nel caso di un
giornalista svedese arrestato un anno fa, oltre ad arrestare centinaia di
soldati per rappresaglia, le istituzioni del Rojava –
dice qualcuno – dovettero pagare un riscatto. Questi incidenti non sono
eccezionali, anzi avvengono regolarmente.
C'è
che chi dice che questi arresti siano semplice frutto
della stupidità di ufficiali siriani sull'orlo di una crisi di nervi, ma non
sembra credibile. Una compagna molto vicina al Pyd,
impegnata in prima persona nel Tev Dem (il movimento che svolge la funzione di motore politico
della rivoluzione) confida infatti: “Era diversi
giorni che ci aspettavamo qualcosa dal regime”. Sebbene la situazione sul
terreno sia quella che è, il governo di Damasco compie continue provocazioni
per sottolineare il carattere ilegale
delle istituzioni autonome del Rojava. Assad non ha interesse (per ora) a replicare gli scontri
con le Ypg di oltre un anno fa, quando ad Hassake ci furono morti da
entrambi i lati, ma invia segnali: l'incidente del 18 marzo è avvenuto alla
vigilia della dichiarazione di autonomia del Rojava e
della rivendicazione, da parte del consiglio siriano democratico (ombrello
politico dell'Sdf), di una costituzione federale per
la Siria.
Nelle
stesse ore, a Ginevra, gli inviati del consiglio nazionale siriano
(rappresentanti di ciò che resta del cosiddetto “esercito libero siriano”, di orientamento conservatore o reazionario) discutevano con
il regime di una possibile spartizione politico-economica del paese. Non a caso
non soltanto Damasco, ma anche la Turchia (padrino, assieme ad Arabia Saudita e
Qatar, del consiglio nazionale siriano) si è affrettata e negare ogni
legittimità giuridica alla dichiarazione di autonomia
del Rojava, seguita a ruota dagli Stati Uniti
(sebbene questi ultimi, come la Russia, vedano probabilmente con favore, sia
pur “dietro le quinte”, una soluzione federale per la Siria). Per la Turchia,
come noto, la rivoluzione del Rojava
rappresenta un problema tanto in rapporto alla situazione oltreconfine
quanto a quella interna, caratterizzata da una guerra senza esclusione di colpi
con la popolazione curda. Le Ypg
sono per la Turchia un'organizzazione terroristica a causa dei loro legami con
il Pkk, e per questo essa
continua in questi giorni a bombardare il cantone di Afrin
ma anche, in quello di Cizire, la città di Qamishlo.
Sempre da Qamishlo un aggiornamento
sulla situazione generale in Siria con il nostro corrispondente:
Qamishlo si trova a ridosso del confine, al punto
da formare un'unica conurbazione con Nusaybin, città curda di Turchia, sebbene tra le due scorra il filo spinato
della frontiera. La vita quotidiana a Qamishlo è
quindi scandita dalle esplosioni di Nusaybin, a
cinquecento metri in linea d'aria a nord, dove le Yps
curde (unità civili di difesa) si scontrano con le
forze speciali turche; dagli spari o dalle tensioni con i soldati del regime in
centro città; dai colpi di mortaio della Turchia che cadono
sui prati dell'area del cimitero, ma a volte anche sulle case, e dal fuoco
delle guardie turche verso i civili del Rojava nei
pressi della frontiera. Quattro giorni fa hanno ferito alla gamba una signora
che raccoglieva delle piante a un centinaio di metri
dal confine, e hanno sparato a un volontario statunitense (rimasto illeso) ad Amuda, più a ovest, mentre parlava su skype
con i genitori a una considerevole distanza dalla barriera. Chiunque si trovi
in Rojava sembra essere, per la Turchia, un
“terrorista”; e una settimana fa gli Asaysh hanno
risposto al fuoco delle guardie turche, riferiscono testimoni, mentre al loro
fianco, per un paradosso solo apparente, le guardie siriane stavano
tranquillamente a guardare.
Episodi
di questo genere sono molto pericolosi, perché l'invasione del Rojava è, notoriamente, uno dei desideri
neanche tanto segreti di Erdogan (che non è un
leader convenzionale, occorre ricordarlo). Non che una simile operazione fosse ciò che il presidente turco si augurasse di
dover considerare fino a poco tempo fa (essa non potrebbe che risolversi in un
bagno di sangue, isolando gravemente la Turchia sul piano internazionale);
tuttavia la possibilità concreta di una regione autonoma curda
(e politicamente ostile) lungo i confini meridionali, dove i ribelli del Bakur potrebbero trovare stabile rifugio e supporto
logistico, non può piacere a un governo turco che non prende in considerazione
una soluzione federale al suo interno. In ogni caso, l'opzione
interventista sembra dover restare, almeno per ora, un desideratum
di Erdogan: “La Siria è un po' affollata; non lo vede
che ci sono già gli Stati Uniti, la Francia, l'Inghilterra, la Russia? Non c'è
posto per lui! Frigna come un bambino...” sbotta un compagno del Pyd a Erbil, Iraq. Invadere il Rojava
significherebbe, al momento, colpire uno stabile alleato statunitense; il
ritiro (parziale) della Russia – occorre ricordarlo – è stato militare, non
politico.
La
Turchia si da da fare,
allora, in modo indiretto. Impone unilateralmente il divieto alle Ypg di oltrepassare l'Eufrate e unificare i cantoni di Kobane e Afrin, bombardando i
villaggi e le unità curde a scopo di rappresaglia
politica. Nella regione di al-Shaaba,
nei dintorni di Jarablus, sostiene tutte le forze
avverse alle Ypg: quelle arabe e turcomanne
islamiste e le forze reazionarie dei “Nipoti di
Saladino”, gruppo curdo musulmano che agisce anche
nell'area di Aleppo – pronto, per sua stessa dichiarazione, a combattere le Ypg se passeranno a ovest dell'Eufrate. Infine, il
sabotaggio della rivoluzione per mano turca ha un altro volto curdo, quello del dittatorello
del Kurdistan iracheno Massud Barzani,
stabile alleato del Mit (servizio segreto turco). Non
soltanto Barzani collabora all'embargo economico e
giornalistico del Rojava, centellinando le aperture
del confine con l'Iraq, da lui controllato, ma agisce direttamente nella
politica curdo-siriana grazie al suo
partito-satellite, l'Enks (consiglio nazionale curdo in Siria). L'Enks (non a
caso unica entità curda invitata al tavolo di
Ginevra) si oppone alla creazione di istituzioni
autonome in Rojava dal 2012, quando si arrivò a un
passo dallo scontro armato con il Pyd.
Nonostante nel 2014 sembrava si fosse trovata una conciliazione, oggi l'Enks accusa il Pyd di
persecuzione nei suoi confronti e nega la legittimità dei consigli esecutivi e
legislativi del Rojava. I compagni del Pyd ammettono che l'Enks rappresenta
“un grosso problema” per il Rojava, costituendo un
continuo fattore di provocazione e sabotaggio politico. Lo accusano di aver
aggredito militarmente le Ypg nel quartiere curdo di Sheik Massud, ad Aleppo. In occasione del Newroz
l'Enks si è rifiutato di chiedere l'autorizzazione
agli Asaysh per organizzare le proprie celebrazioni,
negando la legittimità del loro ruolo; ne è seguita la
sceneggiata, ampiamente amplificata dalle TV curdo-irachene,
dell'impossibilità di celebrare il Newroz per chi non
è allineato con il Pyd. Il supporto dell'Enks, secondo i quadri della rivoluzione, non supera il
10-20% dei consensi; tuttavia, secondo altre fonti
(sempre rivoluzionarie, ma indipendenti dal Pyd)
potrebbe raggiungere il 40% ad oggi. Le vittorie delle Sdf
e le trasformazioni operate dal Tev Dem operano a suo sfavore, ma l'embargo turco e curdo-iracheno possono con il tempo portargli consensi,
anzitutto da parte della sempiterna fazione dei passivi, degli inerti, dei
conformisti. Null di imprevedibile:
non c'è rivoluzione che non sia sotto assedio.
Dall'inviato
di Radio Onda d'Urto e Infoaut a Qamishlo,
Rojava