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Rojava: la rivoluzione sotto assedio
Alla periferia sud di Qamishlo, Rojava,
un macellaio curdo offre il suo punto di vista sulla
situazione attuale: “Si stava così bene sotto il presidente Assad,
c'era la pace. La gente dice che si stava male, ma non
è vero: se ti facevi i fatti tuoi, la polizia non ti infastidiva. Adesso invece
è pieno di uomini armati cui sembra sia tu a dover
dimostrare di non aver nulla da temere”. Il riferimento è agli Asaysh, la polizia autonoma costituita con il difficile
compito di difendere le fragili istituzioni rivoluzionarie. Da chi? Dallo stato
islamico, in primo luogo, che fino a un anno fa
riusciva impunemente a uccidere decine di persone nelle città del Rojava, inviando attentatori suicidi in auto, in camion, in
motorino. Ciò che a Parigi e a Bruxelles è un'eccezione, in
tutto il Rojava fino a pochi mesi fa era la regola: alla
guerra “di trincea” tra Is e Ypg
si affiancava la guerra non convenzionale delle esplosioni e delle bombe (che
in Siria, è noto, da un bel po' non fa notizia).
Ora le cose sono migliorate, ed
anche l'ultimo Newroz (contrariamente a quello
precedente) è stato incruento. Tuttavia lo stato islamico non
è l'unico nemico del Rojava. Ad esempio, sul
piano dell'analisi generale, si sottolinea giustamente
come le forze siriane democratiche (Sdf), create su
impulso delle Ypg, adottino una politica (ricambiata)
di non belligeranza con il governo di Damasco. L'esercito arabo siriano (Asa) del regime, tuttavia, controlla l'areoporto
di Qamishlo, e lo stesso Abdilkerim
Sarozan, responsabile della difesa presso il
consiglio esecutivo del Rojava (una sorta di governo
provvisorio autonomo non eletto, frutto dell'accordo, propiziato nel 2012 dal Pyd, tra le principali comunità religiose e partiti
politici del Rojava) ammette di non essere in grado
di fornire cifre sul numero di soldati che ogni giorno atterrano e decollano
dalla struttura. Parte di questi soldati, oltre ad essere dispiegati, a scopo
puramente simbolico, in una postazione sul confine turco, supportano
poliziotti e vigili urbani del governo di Damasco presso alcune strade del
centro di Qamishlo e di quello di Hassake,
dove alcuni servizi (ad es. le poste) sono gestiti dal regime, che ne
approfitta per ricoprire le facciate degli edifici con le usuali, patetiche
gigantografie del presidente.
I soldati e i poliziotti di Assad non si limitano a
dirigere il traffico o a spedire telegrammi: effettuano arresti. Quattro curdi sono stati arrestati, per ragioni non chiare, a Qamishlo una settimana fa. Non appena si è diffusa la
notizia, gli Asaysh e le Ypg
hanno iniziato ad arrestare tutti i poliziotti, i vigili urbani o i soldati del
governo che si trovassero a loro tiro, fino a un
numero imprecisato che si è aggirato attorno ai 50 e i 100. Le forze curde hanno quindi circondato il quartier
generale dell'Asa, impegnando i soldati di Assad in scontri a fuoco per
diverse ore, sia pur senza vittime. Ne è seguito il
rilascio dei quattro arrestati, ma nel caso di un giornalista svedese arrestato
un anno fa, oltre ad arrestare centinaia di soldati per rappresaglia, le
istituzioni del Rojava – dice qualcuno – dovettero
pagare un riscatto. Questi incidenti non sono eccezionali, anzi avvengono
regolarmente.
C'è che chi dice
che questi arresti siano semplice frutto della stupidità di ufficiali siriani
sull'orlo di una crisi di nervi, ma non sembra credibile. Una compagna molto
vicina al Pyd, impegnata in prima persona nel Tev Dem (il movimento che svolge
la funzione di motore politico della rivoluzione) confida
infatti: “Era diversi giorni che ci aspettavamo qualcosa dal regime”.
Sebbene la situazione sul terreno sia quella che è, il governo di Damasco
compie continue provocazioni per sottolineare il
carattere illegale delle istituzioni autonome del Rojava.
Assad non ha interesse (per ora) a replicare gli
scontri con le Ypg di oltre un anno fa, quando ad Hassake ci furono morti da
entrambi i lati, ma invia segnali: l'incidente del 18 marzo è avvenuto alla
vigilia della dichiarazione di autonomia del Rojava e
della rivendicazione, da parte del consiglio siriano democratico (ombrello
politico dell'Sdf), di una costituzione federale per
la Siria.
Nelle stesse ore, a Ginevra, gli
inviati del consiglio nazionale siriano (rappresentanti di ciò che resta del
cosiddetto “esercito libero siriano”, di orientamento
conservatore o reazionario) discutevano con il regime di una possibile spartizione
politico-economica del paese. Non a caso non soltanto Damasco, ma anche la
Turchia (padrino, assieme ad Arabia Saudita e Qatar, del consiglio nazionale
siriano) si è affrettata e negare ogni legittimità giuridica alla dichiarazione
di autonomia del Rojava,
seguita a ruota dagli Stati Uniti (sebbene questi ultimi, come la Russia,
vedano probabilmente con favore, sia pur “dietro le quinte”, una soluzione
federale per la Siria). Per la Turchia, come noto, la rivoluzione del Rojava rappresenta un problema
tanto in rapporto alla situazione oltreconfine quanto
a quella interna, caratterizzata da una guerra senza esclusione di colpi con la
popolazione curda. Le Ypg
sono per la Turchia un'organizzazione terroristica a causa dei loro legami con
il Pkk, e per questo essa
continua in questi giorni a bombardare il cantone di Afrin
ma anche, in quello di Cizire, la città di Qamishlo.
Qamishlo si trova a ridosso del confine, al punto da formare un'unica conurbazione
con Nusaybin, città curda
di Turchia, sebbene tra le due scorra il filo spinato della frontiera. La vita
quotidiana a Qamishlo è quindi scandita dalle
esplosioni di Nusaybin, a cinquecento metri in linea
d'aria a nord, dove le Yps curde
(unità civili di difesa) si scontrano con le forze speciali turche; dagli spari
o dalle tensioni con i soldati del regime in centro città; dai colpi di mortaio
della Turchia che cadono sui prati dell'area del
cimitero, ma a volte anche sulle case, e dal fuoco delle guardie turche verso i
civili del Rojava nei pressi della frontiera. Quattro
giorni fa hanno ferito alla gamba una signora che raccoglieva delle piante a un centinaio di metri dal confine, e hanno sparato a un
volontario statunitense (rimasto illeso) ad Amuda,
più a ovest, mentre parlava su skype con i genitori a
una considerevole distanza dalla barriera. Chiunque si trovi in Rojava sembra essere, per la Turchia, un “terrorista”; e
una settimana fa gli Asaysh hanno risposto al fuoco
delle guardie turche, riferiscono testimoni, mentre al loro fianco, per un
paradosso solo apparente, le guardie siriane stavano tranquillamente a
guardare.
Episodi di questo genere sono
molto pericolosi, perché l'invasione del Rojava è,
notoriamente, uno dei desideri neanche tanto segreti
di Erdogan (che non è un leader convenzionale, occorre
ricordarlo). Non che una simile operazione fosse ciò che il
presidente turco si augurasse di dover considerare fino a poco tempo fa
(essa non potrebbe che risolversi in un bagno di sangue, isolando gravemente la
Turchia sul piano internazionale); tuttavia la possibilità concreta di una
regione autonoma curda (e politicamente ostile) lungo
i confini meridionali, dove i ribelli del Bakur
potrebbero trovare stabile rifugio e supporto logistico, non può piacere a un
governo turco che non prende in considerazione una soluzione federale al suo
interno. In ogni caso, l'opzione interventista sembra
dover restare, almeno per ora, un desideratum
di Erdogan: “La Siria è un po' affollata; non lo vede
che ci sono già gli Stati Uniti, la Francia, l'Inghilterra, la Russia? Non c'è
posto per lui! Frigna come un bambino...” sbotta un
compagno del Pyd a Erbil,
Iraq. Invadere il Rojava significherebbe, al momento,
colpire uno stabile alleato statunitense; il ritiro (parziale) della Russia –
occorre ricordarlo – è stato militare, non politico.
La Turchia si
da da fare, allora, in modo indiretto. Impone
unilateralmente il divieto alle Ypg di oltrepassare
l'Eufrate e unificare i cantoni di Kobane e Afrin, bombardando i villaggi e le unità curde a scopo di rappresaglia politica. Nella regione di al-Shaaba, nei dintorni di Jarablus, sostiene tutte le forze avverse alle Ypg: quelle arabe e turcomanne islamiste e le forze reazionarie dei “Nipoti di Saladino”,
gruppo curdo musulmano che agisce anche nell'area di
Aleppo – pronto, per sua stessa dichiarazione, a combattere le Ypg se passeranno a ovest dell'Eufrate. Infine, il
sabotaggio della rivoluzione per mano turca ha un altro volto curdo, quello del dittatorello
del Kurdistan iracheno Massud Barzani,
stabile alleato del Mit (servizio segreto turco). Non
soltanto Barzani collabora all'embargo economico e
giornalistico del Rojava, centellinando le aperture
del confine con l'Iraq, da lui controllato, ma agisce direttamente nella
politica curdo-siriana grazie al suo partito-satellite,
l'Enks (consiglio nazionale curdo
in Siria). L'Enks (non a caso unica entità curda invitata al tavolo di Ginevra) si oppone alla
creazione di istituzioni autonome in Rojava dal 2012, quando si arrivò a un passo dallo scontro
armato con il Pyd.
Nonostante nel 2014 sembrava si fosse trovata una conciliazione, oggi l'Enks accusa il Pyd di
persecuzione nei suoi confronti e nega la legittimità dei consigli esecutivi e
legislativi del Rojava. I compagni del Pyd ammettono che l'Enks
rappresenta “un grosso problema” per il Rojava,
costituendo un continuo fattore di provocazione e sabotaggio politico. Lo
accusano di aver aggredito militarmente le Ypg nel
quartiere curdo di Sheik Massud, ad Aleppo. In occasione del Newroz
l'Enks si è rifiutato di chiedere l'autorizzazione
agli Asaysh per organizzare le proprie celebrazioni,
negando la legittimità del loro ruolo; ne è seguita la
sceneggiata, ampiamente amplificata dalle TV curdo-irachene,
dell'impossibilità di celebrare il Newroz per chi non
è allineato con il Pyd. Il supporto dell'Enks, secondo i quadri della rivoluzione, non supera il
10-20% dei consensi; tuttavia, secondo altre fonti
(sempre rivoluzionarie, ma indipendenti dal Pyd)
potrebbe raggiungere il 40% ad oggi. Le vittorie delle Sdf
e le trasformazioni operate dal Tev Dem operano a suo sfavore, ma l'embargo turco e curdo-iracheno possono con il tempo portargli consensi,
anzitutto da parte della sempiterna fazione dei passivi, degli inerti, dei
conformisti. Nulla di imprevedibile: non c'è
rivoluzione che non sia sotto assedio.
Corrispondenza per Radio Onda
d'Urto e Infoaut da Qamishlo,
Rojava
Postato 1st April 2016 da Davide Grasso