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Ezidi,
Ezidistan: non esistono “popoli buoni"
Rani fa irruzione nella stanza e chiede se qualcuno lo vuole accompagnare alla
linea del fronte: lo stato islamico ha appena colpito le trincee con venti
razzi, tra cui alcune armi chimiche, e otto di essi
hanno raggiunto diversi quartieri della città. È farmacista, uno dei pochi
civili autorizzati a stare a Singal, a supporto delle
unità peshmerga che contendono il controllo dei quartieri al Pkk (partito dei
lavoratori del Kurdistan) e alle Ybs (unità ezide per la liberazione di Singal, ad esso alleate). Lungo la strada si aggiunge
Johnatan, operaio statunitense originario della Pennsylvania, arrivato a
dicembre, dice, per ristrutturare le vetrate di alcuni
edifici. “L'Is bombarda la città soprattutto in giornate nuvolose come questa,
o di notte: con la scarsa visibilità i jet
statunitensi hanno bisogno di circa mezz'ora per individuare e colpire le
postazioni di lancio”. Un lasso di tempo relativamente
breve, che spiega il carattere poco accurato, perché affrettato, dei lanci
dello stato islamico, che in tutta la giornata non hanno causato neanche un
ferito.
Le carcasse dei razzi hanno
lasciato strane macchie sul suolo, che secondo Rani sono prova
dell'arricchimento chimico del loro contenuto. Un infermiere,
nel vicino ospedale, mostra una scheggia che gli è entrata in camera poche ore
prima. La strada per il fronte dura cinque
minuti in auto. Rani ci presenta ai peshmerga dietro una
trincea fatta di sacchi sabbia, che sa di prima guerra mondiale; dall'altro
lato le linee dell'Is, distanti circa quattro chilometri; in mezzo, la larga
distesa della terra di nessuno. L'armamento dei peshmerga è leggero –
bombe a mano, kalashnikov – ma lungo la strada abbiamo
incrociato due o tre enormi mortai nuovi di zecca (alcune parti ancora
incelofanate) che gli ufficiali non sanno o non vogliono dirci chi abbia
fornito al governo regionale del Kurdistan. Saranno spostati a breve sulle
montagne e colpiranno le linee nemiche per circa due ore, durante la notte.
“Sono stato insignito del comando
di questa truppa perché sono a capo di uno dei più potenti clan ezidi della
città”, dice un uomo anziano con il capo coperto da una lunga
kefiah. “Non chiedetemi se muoveremo verso Tel Afar, o quando sarà
sferrato l'attacco a Mosul: queste sono cose che decidono gli americani”. Più
che in strategia militare, è ferrato in chiaroveggenza: “Per noi ezidi i sensi
sono fonte di verità, come per i cristiani la bibbia, per i musulmani
il corano. Il genocidio di due anni fa era stato profetizzato dai nostri
uomini di religione”. Previsto o no, quello del 2014 è stato il
settantacinquesimo genocidio subito dalla popolazione ezida nella sua storia.
Antico culto di origine zoroastriana, basato
originariamente sul culto del sole, lo ezidismo è divenuto nel tempo una
religione monoteista in cui la divinità è attorniata da figure angeliche, una
delle quali talvolta in dissenso, talvolta in obbedienza con il messaggio
divino. Cristiani e musulmani, nel corso dei secoli, hanno per questo talvolta
accusato gli ezidi di politeismo, talaltra di satanismo (l'angelo ribelle
sarebbe analogo al demonio biblico).
Dopo la presa di Mosul, nel
giugno 2014, lo stato islamico occupò Singal, seminando il panico tra la
popolazione. Massacri, stupri di massa, fosse comuni,
riduzione in schiavitù e deportazione (e conversione forzata) di migliaia di
donne e bambini seguirono lo shock dell'invasione del 3 agosto, in seguito alla
quale in migliaia si rifugiarono sulle montagne fuggendo in auto o a piedi.
I più fortunati incrociarono i militanti del Pkk e delle Ypg, che li trassero
in salvo; molti altri trovarono la morte per fame e per sete, sotto il caldo
torrido, dopo giorni di isolamento sulle catene
montuose. Benché, per ragioni prettamente politiche, si sia evitato di parlarne
sui grandi mezzi d'informazione, gli ezidi incolpano di questo
evento non soltanto gli arabi (molti abitanti dei villaggi vicini
supportarono l'Is nel massacro) ma anche i curdi: il presidente del governo
regionale del Kurdistan iracheno, Massud Barzani (alleato di Stati Uniti ed
Europa, e perciò intoccabile dai media), ordinò infatti ai peshmerga di stanza
a Singal di ritirarsi senza combattere, lasciando improvvisamente indifesa la
popolazione.
Il comandante, a sorpresa, non si
sottrae alla domanda sulle responsabilità del Pdk di Barzani nell'eccidio. La
risposta è in parte sibillina: “Quando un partito vuole diventare grande, cosa
sono per esso migliaia di morti?”. Gli ezidi – come
gli armeni, o gli assiri – hanno vissuto molte volte, nella loro storia, non
soltanto l'indifferenza, ma la violenza delle tribù musulmane curde. “La nostra
lingua è il curdo – spiega Rani – ma non possiamo
dirci curdi. I curdi sono musulmani: non c'è differenza tra loro e gli arabi,
quando si tratta di attaccare gli ezidi, o di farli massacrare”. Chiediamo al comandante cosa pensa del Pkk, che intervenne ad aiutare
la popolazione durante il massacro di due anni fa. La risposta non potrebbe
essere più diretta: “Il Pkk è un grande pericolo per
il nostro popolo. Insegnano ai nostri ragazzi che Dio non esiste. Sono come Daesh:
Daesh veste le prigioniere ezide come se fossero arabe, il Pkk veste le
combattenti curde come fossero ezide”.
Il riferimento è alle Ybs, unità
partigiane promosse dal Pkk subito dopo il massacro del 3 agosto. Migliaia di
sfollati furono inquadrati e addestrati sulle montagne
per riconquistare la città e salvare i prigionieri nel centro abitato. Per un
anno le Ybs, assieme al Pkk, hanno combattuto nella periferia nord della città,
e infine l'hanno liberata il 13 novembre del 2015 (poche ore prima gli attacchi
dell'Is a Parigi) mentre anche le nuove unità peshmerga di Barzani
(riqualificate con soldati provenienti dalle famiglie ezide dei campi profughi
della provincia di Duhok, amministrati dal Pdk)
entravano in città e prendevano possesso del suo costone sud-occidentale. Come
spesso accade in questi casi, i detrattori accusano le Ybs di non essere unità
autenticamente “ezide”, ma un mero “prestanome” del Pkk; e che un partito laico
e d'impostazione socialista come il Pkk possa essere malvisto da alcuni, nella
comunità ezida (ad esempio da un capoclan come il comandante peshmerga) non è
una sorpresa: la cultura dei perseguitati fa proprie, qui, concezioni
reazionarie dell'organizzazione sociale, incluse poligamia, endogamia e una rigida divisione della società non solo in classi, ma
addirittura in caste.
Se le illazioni
che abbiamo raccolto sulla lapidazione delle donne che intendevano abbandonare
la comunità ezida, o sull'ostracismo verso quelle violentate (anche dall'Is)
non hanno trovato conferma evidente, tutti gli ezidi da noi intervistati – nel
Bakur come nel nel Basur – hanno confermato che è rigorosamente vietato, tanto
per l'uomo quanto per la donna, sposare qualcuno che appartenga a un'altra
religione, e addirittura ad un'altra casta in seno alla comunità. Sembra che il
primo divieto affondi le sue “ragioni” tanto in preoccupazioni sociali (il
progressivo regresso demografico ezida: la popolazione conta oggi poco più di
un milione di appartenenti, la metà dei quali a
Singal) quanto cultuali (la religione possiede tratti esoterici, conosciuti
soltanto dai membri della comunità). “Qualcuno dice
che esistono ezidi che hanno sposato persone di un'altra religione, o senza Dio
– racconta Rani – ma io non lo credo. Forse quelli che sono emigrati in Europa
possono averlo fatto, ma non quelli che sono qui. Avrebbero i loro
problemi...”.
Gli ezidi, ci hanno spiegato i
profughi provenienti da Singal a Dawodiya, sono una popolazione
tradizionalmente interessata alla scienza: non è difficile trovare tra loro medici,
scienziati, poliglotti. È un'altra ragione dell'odio delle altre comunità,
convinte che gli ezidi si ritengano superiori (un po'
come si dice degli ebrei). Ciononostante anche medici, scienziati e comandanti
sul fronte non esitano a fare proprie credenze a dir poco surreali: “I miei
sensi – continua, consapevole di essere intervistato, l'inconsueto militare –
mi dicono che presto una catastrofe naturale si
abbatterà sul genere umano, e questo sarà un segno; dopo questo segno, tutti i
musulmani del mondo si coalizzeranno contro gli ebrei, e li stermineranno;
allora tutti i cristiani si coalizzeranno contro i musulmani, e li
stermineranno, così che il mondo resterà popolato soltanto da cristiani ed
ezidi”. Bell'immagine (si fa per dire); ma appare
comprensibile che, se è vero che degli atei non c'è traccia né prima né dopo,
in queste apocalittiche preveggenze, secondo alcuni il Pkk farebbe meglio a
stare lontano da Singal. “Non andate a intervistarli –
si premura di ammonirci il comandante – vi uccideranno”.
Quando Singal, da città liberata,
è divenuta contesa, il Pkk ha condannato l'annessione di essa
(formalmente appartenente all'Iraq) al Kurdistan di Barzani, sostenendo che la
popolazione ezida avrebbe dovuto poter praticare forme di autogoverno e divenire
una realtà federale, lo “Ezidistan”, piccolo tassello del nuovo medio oriente
che i guerriglieri curdi immaginano secondo linee sussidiarie e confederali.
Quando chiediamo a Rani, una volta abbandonato il
fronte, perchè sostenga i peshmerga nonostante il tradimento di Barzani nel
2014, sfiora la crisi di pianto: maledice il presidente dicendo che adesso,
dopo aver messo in prima linea gli ezidi, rifiuta di inserirli a tutti gli
effetti nella catena di comando del governo, in perseverante segno di disprezzo.
“E' un musulmano: i musulmani non cambieranno mai. Ho
studiato all'Università di Duhok, in Kurdistan, ed è stato terribile: gli
studenti curdi non hanno mai smesso di emarginarmi, perché ero ezida”. Perchè
non sostieni il Pkk, le Ypg, che sembrano diversi? “Sono curdi pure loro. Non
possiamo fidarci. Ma non scrivete il mio vero nome sul reportage [precauzione
che abbiamo preso, Ndr]: se i peshmerga scoprono che dico
che gli ezidi non sono curdi, ci mettono un attimo ad arrestarmi”.
La sorte non
poteva essere più ironica, terminata la conversazione: a fermarci per un
controllo mentre Rani ci accompagna a casa è un furgone delle Ybs ezide: il
farmacista, noto per essere collaboratore dei peshmerga, ha sconfinato nel
settore avverso. Si scusa visibilmente
impaurito, con deferenza e imbarazzo, prima di essere
lasciato andare con un sorriso. “Vedete? È la mia città, ma sono meno di un
turista”. Ezidi arruolati o allineati con forze politiche opposte si
fronteggiano nella loro Singal, lungo le faglie di una contrapposizione curda
(Pkk contro Pdk). Tuttavia, nello sradicamento e nella contaminazione non
sempre troviamo i germi della sofferenza. L'ateismo che i clan ezidi temono dal
Pkk è curdo ma non musulmano, come il socialismo che
ispirò i primi militanti attorno a Ocalan fu turco ma non kemalista, e il
marxismo che ne ispirò i tratti ebbe origini russe e antenati tedeschi, sebbene
nessuno in questa catena avesse pensato, o agito, libero dal tradimento verso
la propria identità o tradizione. In ogni oppresso si annida anche la figura
dell'oppressore. Non esistono popoli uniti perché non esistono
popoli buoni. L'uguaglianza delle donne, l'amore libero da imposizioni, la
società libera dai clan sono idee che oggi si aggirano
a Singal – grazie al fantasma del Pkk.
Dall'inviato di Radio Onda d'Urto
e Infoaut a Singal, Iraq
Postato 8th April 2016 da Davide Grasso