Ankara
continua a bombardare le postazioni kurde, mentre l’Arabia Saudita
parla di invasione via terra. Aiuti umanitari verso le zone assediate
della redazione
Roma, 01 marzo 2016, Nena News – Una tregua
strana, quella siriana. Il numero di scontri a terra e raid aerei si è
significativamente ridotto, nonostante alcune violazioni, e Usa e Russia proseguono nel monitoraggio
della cessazione delle ostilità. Ma c’è ancora chi soffia sul fuoco: Arabia Saudita e Turchia.
Ankara non ha mai
interrotto gli attacchi dell’artiglieria contro le postazioni kurde a nord
della Siria. Secondo l’agenzia russa Tass, negli ultimi due giorni i raid
turchi hanno ucciso almeno 10 civili. Nello stesso periodo
Mosca denunciava anche l’ingresso in Siria, dalla frontiera turca, di un altro
centinaio di miliziani armati, apparentemente diretti verso Raqqa, la
“capitale” del sedicente califfato. La Turchia si nasconde dietro un dito,
quello della lotta all’Isis affermando di aver iniziato a colpire lo Stato
Islamico in collaborazione con l’esercito statunitense.
A premere sull’acceleratore di un intervento
via terra è, ancora una volta, Riyadh.
La petromonarchia è consapevole di non avere un ampio sostegno e
probabilmente non è neppure intenzionata ad inviare le sue truppe, visti gli
alti costi che sta sostenendo in Yemen
e il crollo del prezzo del petrolio. Ma la destabilizzazione, anche
solo diplomatica, serve ai piani sauditi: con le opposizioni guidate
dai Saud che hanno alla fine accettato la cessazione delle ostilità, ora
l’obiettivo saudita è segnare più punti possibile prima del negoziato.
Ieri il generale Asseri – che è anche a capo
della coalizione anti-Houthi in Yemen
– ha detto che nelle settimane scorse Riyadh
ha discusso con gli Stati Uniti di una possibile incursione terrestre in chiave
anti-Isis: “Ne abbiamo discusso a Bruxelles due settimane fa, a livello
politico, non militare. Una volta che sarà organizzata e si deciderà
quante truppe saranno inviate, dove e come, prenderemo parte alla missione”.
Washington reagisce con cautela: secondo il
portavoce del Dipartimento di Stato Kirby, l’amministrazione Obama ha discusso
con i sauditi “della potenziale introduzione di qualche elemento di terra in
Siria”, possibilità che gli Usa
accoglierebbero come contributo contro l’Isis. Ma frena (“Ci sono molti
elementi da discutere”) perché sa che dall’altra parte del
tavolo c’è la Russia
che difficilmente accetterebbe un intervento via terra di forze anti-Assad.
In particolare in questo momento: la tregua
sta più o meno reggendo, l’Onu ha riaperto il tavolo del
negoziato (a Ginevra si dovrebbe tornare il 7 marzo) e Usa e Russia stanno collaborando nelle
operazioni militari contro lo Stato Islamico. Entrambi a capo
dell’International Syria Support Group, sono consapevoli della necessità di
stabilizzare il paese, uscire dalla guerra civile e frenare l’avanzata
islamista. Le agende delle due superpotenze, in Siria, oggi sembrano meno
distanti di quanto si possa immaginare.
Aiuti umanitari in arrivo
La tenuta della tregua ha permesso all’Onu di
proseguire con le operazioni di consegna degli aiuti umanitari nelle zone
assediate. Ad oggi sono stati forniti cibo e medicinali a circa 116mila
persone. L’obiettivo di questa settimana – dice il segretario di Stato Usa Kerry – è
raggiungere 150mila persone e un milione e 700mila civili entro la fine di
marzo.
La situazione della popolazione è terribile:
sono quasi 50 le comunità sotto assedio da parte di governo, opposizioni o
Stato Islamico (secondo i dati di Siege Watch), private di accesso costante ad
acqua potabile e cibo a sufficienza. “Denutrizione deliberata”, l’ha definita
ieri l’Alto Commissario Onu per i Diritti Umani, Zeid Ra’ad al-Hussein, che
riguarderebbe 450mila persone (oltre un milione secondo Siege Watch). Nena News