Kurdi,
arabi, turkmeni e assiri lanciano l’operazione per la “capitale” del sedicente califfato.
Usa e Russia provano
a metterci il cappello. Prosegue intanto l’avanzata di Baghdad che cerca di
tranquillizzare i civili
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Roma, 26 maggio 2016, Nena News – Due città,
due simboli per lo Stato Islamico e due operazioni che potrebbero scardinarne
la macchina della propaganda. Raqqa e Fallujah sono oggi il terreno di
controffensive dall’enorme potenziale ma anche di grande rischio. A 24 ore dal
lancio dell’operazione per la liberazione di Raqqa, le Forze Democratiche
Siriane (Sdf) hanno liberato tre villaggi a nord della città. L’Isis è stato
costretto ad arretrare, segno che la controffensiva potrebbe gradualmente
portare a risultati concreti.
L’operazione è stata ufficialmente lanciata
martedì: le Sdf, federazione di gruppi armati arabi, assiri e turkmeni guidati
dai kurdi di Rojava, ha messo in campo 30mila uomini per liberare quella che
viene considerata ormai da due anni la “capitale” del sedicente califfato.
Secondo quanto spiegato dalle Ypg kurde, i
combattenti attaccheranno da tre direzioni diverse, a partire da una distanza
di 50 km
da Raqqa. L’obiettivo è tagliare le vie di rifornimento settentrionali allo
Stato Islamico e relegarlo nella zona sud della città. La presenza di gruppi
arabi, dicono i comandanti delle Sdf, servirà ad attirare il sostegno delle
comunità arabe che temono rappresaglie e sfollamenti per mano kurda.
A sostenerli dall’alto saranno i raid aerei
della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. Dopo aver escluso
Rojava dal tavolo del negoziato di Ginevra, su preciso diktat turco, ora Washington non vuole
perdere l’occasione di mettere il cappello sull’offensiva più importante in due
anni di “califfato”.
Occasione ghiotta anche per la Russia che ha già proposto bombardamenti
congiunti con l’aviazione Usa.
Gli Stati Uniti hanno rifiutato la cooperazione con Mosca per la seconda volta in sette giorni. Ma ieri una porta pareva aprirsi:
il portavoce delle Forze Democratiche, Talal Selo, ha fatto sapere che i leader
militari della federazione e la coalizione stanno discutendo della possibilità
di coordinarsi con l’esercito russo.
I kurdi di Rojava si giocano molto: Raqqa è
preda succosa, rappresenta il modello statuale immaginato dall’Isis, è il cuore
della sua capacità militare ma soprattutto è la concretizzazione delle
ambizioni amministrative del
“califfo” al-Baghdadi. Se le Sdf riusciranno a segnare punti importanti nel
medio periodo, la questione kurda si porrebbe a tutt’altro livello: sarà molto
più difficile per la Turchia realizzare la zona cuscinetto al confine e
l’esclusione di una forza tanto centrale dal negoziato.
Il simbolismo dietro l’operazione è
esplosiva: combattenti auto-organizzati, con alle spalle un modello democratico
confederale, che arrivano dove eserciti nazionali non sono arrivati. E ci arrivano
con una federazione multi-etnica e multi-religiosa, specchio del futuro che immaginano per la Siria
post-Isis.
Oltre il confine sta un Iraq che ha nei
settarismi interni uno dei principali pericoli alla stabilità. Una città come
Fallujah ha altrettanto valore simbolico di Raqqa: nella provincia sunnita di
Anbar, è stato il cuore della resistenza armata all’invasione Usa del
2003. Dopo la liberazione di Ramadi avvenuta a fine dicembre, Baghdad punta su Fallujah per mettere freno
alle proteste popolari alimentate nelle ultime settimane dai brutali attacchi
islamisti ai quartieri della capitale. Ieri l’ennesimo: un bomba è esplosa a
Abu Deshir, uccidendo una persona e ferendone sette.
Per farlo ha bisogno non solo di vittorie ma
di vittorie pulite. Deve cioè evitare i settarismi che hanno operato a Tikrit e
nelle altre comunità sunnite liberate dalle forze sciite sottoforma di
rappresaglie e umiliazioni. A Fallujah ci sono tra i 60 e i 100mila civili
(erano 300mila prima dell’occupazione islamista del 2014) e oggi sono letteralmente ostaggio
dello Stato Islamico: usati come scudo umano, dicono fonti locali, e ridotti
alla fame dall’accerchiamento dell’esercito governativo che da mesi taglia le
vie di rifornimento dell’Isis, impedendo così l’ingresso di cibo.
Il premier al-Abadi usa la
televisione per rassicurare i residenti di Fallujah: «Alle forze armate è stato
ordinato di preservare la vita dei cittadini e proteggere le proprietà
pubbliche e private», ha detto nei giorni scorsi sperando di porsi agli occhi
dei civili spaventati dalle potenziali violenze sciite come una valida
alternativa alla brutalità dello Stato Islamico. Per farlo ha ordinato
l’apertura di corridoi umanitari per coprire la fuga dei civili intrappolati e
di campi che li accolgano. Ma da domenica sera solo 17 famiglie sono riuscite a
lasciare la città.