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Rojava: come si fa la rivoluzione?
Quando la guerriglia curda cacciò esercito e polizia
siriani dal Rojava (19 luglio 2012), il vuoto
militare fu riempito dalle unità di protezione popolare (Ypg),
che non potevano risolvere, tuttavia, il problema della creazione
dell'organizzazione della vita sociale e dell'economia. Il Pyd
si fece promotore di un'intesa tra diverse forze politiche, sociali e religiose
della Siria settentrionale, che si riconoscessero nella possibilità di una gestione
autonoma della regione e nel principio dell'autogoverno popolare (principio
nelle corde, peraltro, della cultura mediorientale). L'intesa fu propiziata da
una complessa opera del Tev Dem,
il “movimento per la società democratica” che il Pyd
aveva fondato anni prima, all'indomani della repressione della rivolta curda del 2004, assieme ad altri partiti di sinistra del Rojava (tra cui, per citarne alcuni, il partito comunista e
il partito progressista democratico). Il Tev Dem assunse quindi, nel
Saliha cura i
rapporti, ad Amuda, tra il movimento e le istituzioni
cantonali da esso create. “Il Pyd ha svolto un ruolo
iniziale inestimabile – spiega – perché ha sostituito la condizione che
esisteva sotto il regime, in cui i partiti curdi
erano banditi, con un florilegio d'iniziative e una collaborazione plurale”
spiega; tuttavia “il Tev Dem
è molto migliorato rispetto all'inizio, molta gente nuova è entrata a
parteciparvi, e il Pyd non ha la stessa centralità
che aveva in principio”. Jiwan e Shiar,
del Media Center di Amuda, spiegano che obiettivo
finale del Pyd è estinguersi nel movimento, così come
quello del movimento è estinguersi nella società; il suo ruolo è riprodurre un
modo di fare le cose, più che accapigliarsi con la gente per l'importanza del
proprio nome o attaccarsi in modo feticistico ai
colori della sua bandiera. Naturalmente il Tev Dem non rappresenta la totalità della politica in Rojava: dodici partiti curdi
della regione, tra cui il Pdk siriano, satellite del Pdk al potere nel Kurdistan iracheno, si riuniscono nel
consiglio nazionale curdo in Siria (Enks), che si oppone duramente a tutte le attività del Tev Dem e a tutte le realtà
istituzionali, sociali ed economiche da esso create.
La partecipazione è stata, dall'inizio del processo rivoluzionario, di
quasi tre quarti della popolazione, racconta Saliha,
ed ha oggi superato anche questa percentuale (non si può escludere, però, che
queste cifre siano enfatizzate da una necessità di propaganda). “La rimanente
minoranza – afferma – non ha una mentalità rivoluzionaria, altrimenti
accetterebbe a sua volta di essere coinvolta”. L'obiettivo del Tev Dem, spiega, “è far sì che la
gente amministri sé stessa” (la stessa funzione, si noti, che sembra aver
svolto il Pyd nei confronti del Tev
Dem); “nostro compito è organizzare la società e fare
in modo che tutti possano prendere parte a questa organizzazione”, aggiunge Feirusha Ramzan, co-presidente del consiglio cittadino di Qamishlo. Il Tev Dem “si occupa del popolo, organizza la gente e la invita a
partecipare alla creazione del nuovo Rojava” precisa Saliha. Del resto le istituzioni stesse dell'autonomia
democratica sono sua opera: “Siamo nati prima dell'autogoverno, reso poi
possibile dalla creazione dei consigli cantonali che abbiamo creato, e adesso,
passo passo, il sistema del Tev
Dem sta cambiando”.
Il co-presidente del consiglio legislativo del
cantone di Cizire è Heken Khelo, ingegnere edile che si è unito al Tev Dem, a suo tempo, attraverso l'organizzazione
dei martiri. “Come consiglio legislativo siamo nati il 6 gennaio 2014 e abbiamo
dichiarato l'autogoverno il 21 gennaio di quell'anno”
racconta [Nel marzo 2016 è stata poi dichiarata l'autonomia confederale,
Ndr]. I consigli cantonali (esecutivo e legislativo)
sono il corrispettivo di un governo e un parlamento, sebbene non siano eletti
(la guerra in corso rende elezioni regolari impossibili), né – punto essenziale
– quelle cantonali sono le istituzioni più importanti del Rojava,
a differenza di quello che avverrebbe in una organizzazione statale. Il
consiglio è composto di 55 organizzazioni rappresentate rispettivamente da due co-presidenti ciascuna (donna e uomo). “Abbiamo approvato
una cinquantina di leggi finora, tra cui il contratto sociale del Rojava [Noto impropriamente come “Costituzione del Rojava”, Ndr], i diritti
delle donne, l'istituzione di un esercito regolare” in aggiunta alle forze
volontarie Ypg-Ypj, che sta procedendo alla
coscrizione nelle famiglie proprio in queste settimane. Possibile, chiediamo,
mantenere l'idea di eliminare lo stato costituendo consigli legislativi?
“Proviamo a non essere una forma di dominio: è una questione di mentalità
anzitutto”.
È interessante come Heken dica che l'intenzione
di non costituire uno stato rispecchi la volontà di “evitare problemi con la
gente”; ma al di là di questo ricco passaggio retorico, la sua visione ricalca
ampiamente quella di Öcalan (benché tenga a precisare che il
consiglio non è legato a nessuna ideologia): secondo questa visione,
spericolata ma tutt'altro che inaccurata,
lo stato è una forma mentis molto più che un'entità separata e vivente
vita propria, come è possibile realizzare rammentando che i “suoi” simboli, i
“suoi” edifici o le “sue” scritture sono pur sempre opera umana, soggettiva sul
piano della produzione. “Quando parliamo di stato dobbiamo ricordare che esiste
da 5-6.000 anni, cosicché non possiamo eliminare una simile idea dalla mente
umana in un giorno”. Per Saliha, che a sua volta
rivendica l'indipendenza del Tev Dem
dal pensiero di Öcalan (ma ne valuta positivamente la
filosofia), la rivoluzione “sta rompendo il sistema statale perché il comando
arriva dal basso verso l'alto, e non viceversa”. Heken
afferma che i suggerimenti per nuove leggi arrivano al consiglio legislativo
dalle comuni, che esistono discussioni e modifiche nelle assemblee cittadine e
nelle diverse commissioni del consiglio (correlate alle ramificazioni di quello
esecutivo sul modello dei governi statali) e che quindi “le leggi non sono prodotto
né soltanto dal consiglio, né soltanto delle comuni o delle città: è una
collaborazione aperta tra tutti i livelli”.
Una differenza essenziale con gli stati è tuttavia, come accennavamo, che
nel “sistema dell'autonomia” i consigli esecutivo e legislativo non sono
prioritari, ed anzi dovrebbero gradualmente ridurre il loro ruolo, fino
tendenzialmente ad estinguersi in ottemperanza al principio per cui, spiega Saliha, “se la gente ha un problema non deve aspettare
qualcuno dall'alto per risolverlo, ma darsi da fare in prima persona per
trovare soluzioni”. Non a caso, racconta, appena ottenuta la dichiarazione di
autogoverno resa possibile dal lavoro che ha portato alla creazione dei
consigli cantonali, il Tev Dem
ha potuto lasciare ad essi la gestione dell'intesa politica tra le diverse
componenti religiose e linguistiche della regione, per dedicarsi finalmente
alla trasformazione sociale vera e propria, a partire dai consigli cittadini,
“per instillare nelle persone l'idea di divenire padrone di sé stesse”. I
militanti del Tev Dem
ammettono che la rivoluzione economica è partita in ritardo, ma una serie di
ostacoli storici e sociali hanno ritardato il processo in corso adesso. “I
consigli cittadini furono il primo passo, due anni fa, ma si rivelarono insufficienti
– spiega un compagno europeo – perché troppa gente vi partecipava, e troppe
erano le problematiche di cui venivano investiti; fu così che si passò alla
costruzione immediata delle comuni”.
La creazione delle comuni fa parte del sistema elaborato da Öcalan il quale, anche per assicurarsi che fosse compresa la loro centralità, ha
scritto in una memoria per il Tribunale dell'Aja che,
una volta libero, sarà della vita della comune del suo villaggio natale che si
andrà a occupare. A Qamishlo e dintorni esistono
attualmente 115 comuni ed altre cinque sono sul punto di essere avviate. Esse
si occupano tanto di connettere la popolazione con qualsiasi problematica
amministrativa che coinvolga altre istituzioni, quanto di risolvere i problemi
locali (se possibile con risorse locali), di contribuire all'autodifesa
popolare e di proporre iniziative politiche generali. Feirusha
dice che in esse si esprime la forza (hez)
della società: “Si tratta di una cosa nuova, e all'inizio la gente non capiva a
cosa servissero. Ora va meglio, si è diffusa molta più consapevolezza e questa
è per noi una vittoria molto grande”. La rivoluzione è a buon punto, dice: “lo
dimostra la nascita delle cooperative: quando la gente ha l'iniziativa di
fondare una cooperativa, e nella sua comune ci sono 200 o 400 persone, è un
grande risultato perché si respinge il pericolo della depressione economica”.
Nelle comuni c'è un comitato per la salute, che paga le cure a chi sta male
se non ha sufficienti mezzi e, spiega Selman Sheiki, co-presidente del
consiglio cittadino di Amuda, distribuisce anche le
medicine gratuite che arrivano dal consiglio esecutivo. Ad Amuda
ci sono quattro case del popolo ai quattro punti cardinali della città, e
ognuna di esse coordina tra le quattro e le cinque comuni, per un totale di
diciotto. Ciascuna delle comuni esprime due co-presidenti,
e i 36 co-presidenti della città si uniscono a sette
membri fissi, eletti da assemblee popolari, a formare i 43 membri del consiglio
cittadino. Fondamentale è non confondere il consiglio cittadino con la
municipalità, “il” comune, come diremmo in Italia: quest'ultimo
esiste ancora, in attesa che il sistema delle comuni e dei consigli sia in
grado di organizzare l'intera vita associata, e ancora assume su di sé
questioni ordinarie o urgenti come la raccolta dei rifiuti (peraltro
drammaticamente disattesa in Rojava), e dovrà a sua
volta scomparire (almeno secondo i progetti) quando il sistema comunardo,
non-comunale, sarà in grado di sostituirlo (il “comunalismo”
– l'ideologia statunitense da cui Öcalan trae
ispirazione – deriva infatti da “la comune” e non certo dai “comuni”).
È impossibile comprendere tutto questo se non si tiene conto che, nella
visione del Tev Dem, è in
atto una lotta tra popolazione e dominio gerarchico tradizionale, incarnato dai
poteri sociali e territoriali tradizionali (notabilato incancrenito, chiese,
partiti, residui di amministrazione statuale, patriarcato tribale, ecc.). Il Tev Dem stesso, fine e ironico
regista del processo rivoluzionario, ha coordinato questi poteri e li ha
collocati in istituzioni a immagine e somiglianza di quelle statali (i consigli
cantonali e il loro coordinamento) per poi dedicarsi a costruire gli attori
della loro potenziale distruzione, secondo una concezione gradualistica
memore – tra le altre cose – dei fallimenti prodotti dall'eccesso di violenza
rivoluzionaria di diverse esperienze comuniste storiche. Le istituzioni
municipali o cantonali dovranno quindi sì essere esautorate gradualmente
dall'assunzione di responsabilità sociale della popolazione, ma il Tev Dem non attende l'ascesa
celestiale di tale elemento, semmai ne supporta la nascita tanto militarmente
quanto nella forma della presenza organizzativa e della continua offerta di
collaborazione. Non a caso le tizie e i tizi del Tev Dem sono sempre in giro tremendamente indaffarati, qua e là
per il Rojava a immaginare e costruire progetti
economici, sanitari, finanziari, di autodifesa o di giustizia: sono come
geniali capitani d'impresa dedicati al progetto dell'eliminazione del
capitalismo.
“Nella comune del mio quartiere abbiamo cinque commissioni” spiega Selman: “una per la nostra autoformazione
linguistica e di autogoverno, una per la salute, una di autodifesa, una
economica, una di conciliazione”. I rappresentanti dei cinque comitati svolgono
riunioni con i due co-presidenti di comune ogni
settimana, costituendo l'elemento esecutivo della comune, mentre ogni due
settimane c'è l'assemblea generale, “dove la gente si lamenta con le
commissioni e le commissioni si lamentano con la gente”, per dirla con le sue
parole. La commissione economica, ci racconta, discute progetti che emergono
dalla popolazione (fa l'esempio della costruzione di una fabbrica in quartiere)
e poi va a proporli al consiglio cittadino (quello formato dai co-presidenti di tutte le altre comuni, e che quindi non
c'entra nulla, come detto, con un “consiglio comunale”), che può approvarli o
meno. Il comitato per l'autodifesa coordina le “forze di difesa sociale” (Hpc), milizie armate di quartiere o di villaggio che
sorvegliano le strade da attacchi e attentati (opera preziosissima in una
guerra dove il nemico è politico, e il vicino di casa può essere
tranquillamente un sostenitore dello stato islamico o del regime di Assad) “e proteggono le case e gli esercizi commerciali dai
furti”.
Una delle commissioni più importanti è quella per la conciliazione: ad essa
si rivolgono tutti coloro che hanno un problema con qualcun altro, ad esempio
proprio nei casi di furto o delle contese di proprietà, o ancora del banale
incidente stradale, affinché la commissione della comune trovi una soluzione
che, nella città di Amuda (ci hanno detto al
tribunale), viene raggiunta al momento circa nei due terzi dei casi, evitando
il ricorso ai giudici e alle sue giurie popolari (il tribunale è un'altra
istituzione di cui il Tev Dem
auspica l'abolizione attraverso l'aumentata capacità sociale dei comitati di
conciliazione delle comuni, secondo un'utopia tanto più rispettabile perché
condotta verso il suo traguardo da una concreta opera rivoluzionaria). Le
comuni, aggiunge Feirusha a Qamishlo,
si occupano anche di creare piccoli ambulatori e vaccinare la popolazione
infantile: i soldi arrivano spesso, in modo autosufficiente, dalle quote che le
cooperative avviate dal Tev Dem
devolvono per regolamento (20% degli introiti) alla comune cui appartengono,
“ma il sistema delle cooperative non è ancora abbastanza forte” spiega, e
persiste perciò la necessità di “donazioni”. Il sistema di tassazione che
esiste nello stato, precisa, “qui in Rojava non c'è:
sei tu che lavori nella comune, e lavori per te stesso”.
A Qamishlo, aggiunge Feirusha,
una parte della popolazione non curda non entra a far
parte del sistema delle comuni (arabi e assiri
supportano in gran parte il regime in queste città, e sono di norma dipendenti
pubblici nel poco che resta, a scopo simbolico, della sua amministrazione); ad Amuda invece, spiegano, esse sono boicottate dai non pochi
sostenitori dell'Enks. Tuttavia “nei villaggi di Tell Brak e Tel Amis – aggiunge Feirusha –
recentemente liberati dallo stato islamico, la popolazione ha fatto giungere al
Tev Dem suoi rappresentanti
per chiedere che anche da loro vengano organizzate delle comuni”. Comprendere
questi eventi non è semplice, e al di là di alcune peculiarità della storia
sociale dell'Asia occidentale, dove la gestione localistica
e di prossimità di gran parte del potere è molto radicata, occorre tenere a
mente che l'adesione popolare al modello confederale e comunardo non riposa in
alcun modo, in Rojava, su teorizzazioni
idealistiche: le comuni funzionano e dimostrano di essere un buono strumento
per risolvere i problemi pratici delle persone (probabilmente molto meglio, in
diversi casi, della passata burocrazia statale); e in ogni caso, come fa notare
Selman, “dopo la cacciata del regime la gente
chiedeva luoghi dove si potessero risolvere i problemi, che potessero
sostituire le istituzioni che se ne erano andate”. Non è difficile immaginare
che, anche là dove lo stato islamico viene in questi mesi messo in fuga, la
reazione possa essere la stessa.
Corrispondenza per Infoaut e Radio Onda d'Urto da
Qamishlo, Rojava
Postato 29th May 2016 da Davide Grasso