Gli Usa smontano il piano che aprirebbe alla rottura
con la Russia.
Ankara crea
caos per salvaguardare i propri obiettivi anti-kurdi e anti-Assad. A Fallujah
l’Isis risponde all’esercito con violenza
di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Roma, 1 giugno 2016, Nena News – Due
lanciarazzi, dodici fucili Ak-47 ma soprattutto dodici villaggi: queste le
vittorie riportate ieri dalle Forze Democratiche Siriane (Sdf) contro lo Stato
Islamico nel nord della Siria. La federazione multietnica e multiconfessionale
guidata dai kurdi di Rojava (accanto alle Ypg ci sono arabi, assiri, turkmeni)
avanza lentamente verso Raqqa.
Una cattiva notizia non solo per l’Isis che
deve affrontare un’altra controffensiva mentre è impegnato sui fronti di Aleppo e Fallujah. Lo è
anche per la Turchia che non riesce a imporre la propria narrativa: Ypg uguale
Pkk uguale terrorismo.
A sostenere dall’alto l’operazione delle Sdf,
infatti, è l’aviazione statunitense. Dal basso sarebbero le forze di élite
dell’esercito del
presidente Obama, fotografate pochi giorni fa mentre assistevano i combattenti
kurdi in una zona rurale a 60
km da Raqqa. Immagini che hanno fatto perdere la
testa ad Ankara che prova ad andare al contrattacco mettendo sul tavolo
un’invasione del nord della Siria al fianco della coalizione:
un’operazione via terra congiunta anti-Isis, finora scansata come la peste da
Erdogan, anche e soprattutto quando Kobane veniva massacrata. Operazione sì ma
ad una condizione: che Washington
lasci fuori i kurdi siriani.
Ne ha parlato ieri il ministro degli Esteri
turco Cavusoglu, sebbene funzionari Usa riferiscano che l’offerta non
prevede l’abbandono dell’alleanza militare con i kurdi e non contiene proposte
concrete. «La questione che stiamo discutendo con gli americani –
ha detto Cavusoglu all’Afp – è la chiusura di Manbij [la zona usata
dall’Isis per il trasferimento di armi e uomini] – e l’apertura di un secondo
fronte». Per poi aggiungere che ai suoi uomini e a quelli Usa potrebbero
unirsi tedeschi, francesi e britannici. Insomma il cuore della Nato che se
davvero decidesse una simile operazione aprirebbe al conflitto con la Russia.
La strategia turca è volta
a creare caos. Con gli alleati e con gli avversari perché in entrambi i casi
gli interessi turchi non combaciano del tutto neppure con la coalizione: Erdogan
punta a farsi leader indiscusso del Medio Oriente usando come piede di porco le
opposizioni a Damasco per distruggere la Siria di Assad e sfruttando la lotta
all’Isis per schiacciare una volte per tutte il movimento indipendentista
kurdo.
Ieri è stata Ankara ad accusare per prima
Mosca di aver colpito con un raid aereo un ospedale e una moschea a Idlib,
città settentrionale occupata da tempo dal Fronte al-Nusra: almeno 23 i morti,
200 i feriti. La Russia
nega: non erano in corso operazioni aeree la notte tra lunedì e martedi
nell’area. La Turchia ha chiesto l’apertura di un’indagine internazionale,
richiesta che però non ha mosso una settimana fa quando sette attacchi
dell’Isis hanno trucidato 161 persone a Tartus e Jableh, città costiere a
maggioranza alawita, stessa fede del
presidente Assad.
Per l’Occidente e l’asse Golfo-Turchia la
precondizione non è tanto la presenza dello Stato Islamico quanto chi è a
combatterlo. In Iraq
sembrano essere tutti d’accordo seppure il sostegno al debole esercito iracheno
non sia così ampio. Ad una settimana dal lancio dell’operazione
su Fallujah, le forze irachene (militari, milizie sciite, tribù sunnite) sono
entrate nella periferia della città dove stanno però incontrando la resistenza
degli islamisti, preparatisi alla battaglia finale con trincee, tunnel e campi
minati.
Le unità di élite dell’esercito premono da
sud, verso il quartiere di Naimiyah. Qui si è svolta ieri lo scontro più duro:
«C’erano circa cento miliziani – ha detto il generale al-Saadi, comandante
dell’intera operazione – Sono arrivati verso di noi pesantemente armati ma non
hanno usato kamikaze».
I più terrorizzati sono i civili a cui la
fuga attraverso i corridoi umanitari aperti da Baghdad è impedita: «Le condizioni
della gente peggiorano di giorno in giorno – racconta al telefono all’Afp
un residente – C’è panico. Daesh è furioso perché non è sostenuto. Ieri hanno catturato
un centinaio di giovani uomini in diverse parti della città e li hanno portati
in un luogo sconosciuto». Il timore è quello di brutali rappresaglie
contro i civili se le forze irachene non dovessero riuscire nella liberazione
di Fallujah.
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati