30 -07- 2016
Parlano i
testimoni di Al-Hasakah, prima occupata dallo Stato islamico poi liberata dai
kurdi dell’Ypg: «Qui si moriva di fame, povertà, omicidio, stupro, arresto». Le
donne e le bambine avevano l’obbligo di indossare il niqab, il velo integrale,
pena la lapidazione pubblica
di Federica Iezzi – Il Manifesto
Al-Hasakah, 30 luglio 2016, Nena News – «Ha
ridotto in macerie case, palazzi e chiese, ha lesionato ospedali, caserme,
università e si è scatenato con violenza contro migliaia di persone inermi. Ha
distrutto vite, ha annientato speranze» è così che Amal, solo 15 anni, vede la
guerra con cui convive da più di cinque anni. Abita, con quello che è rimasto
della sua famiglia, nella provincia di al-Hasakah, città nell’angolo
nord-orientale della Siria.
Abita in un piano sotterraneo della sua
vecchia casa, non tanto per il pericolo dei bombardamenti a cui ormai tutti
sono abituati, ma perché la vecchia casa è stata totalmente rasa al suolo. E
adesso quello che era il pavimento di quella casa è diventato il soffitto della
nuova. Nel governatorato di al-Hasakah, in particolare nel Jazira
Canton, tutto è iniziato con un’offensiva lanciata nel febbraio di due anni fa,
dai combattenti dello Stato Islamico (ISIS), che hanno conquistato almeno 200
villaggi. E a Tell Brak, uno di questi villaggi tra al-Hasakah e
Qamishli, cominciano i combattimenti tra l’Isis e la milizia kurda dell’Unità
di Protezione Popolare (YPG). Nonostante l’isolamento all’interno del corridoio
meridionale del capoluogo di provincia, i jihadisti hanno dettato legge.
«Prima guardavamo solo in televisione le
barbarie dell’Isis. Morti, torture, violenze erano il nostro incubo ogni sera.
Poi sono arrivati nelle nostre strade, nei nostri panifici, nelle nostre
moschee. E d’un tratto niente più elettricità, assistenza medica,
acqua e rifornimenti alimentari come riso, zucchero, pasta e benzina», ci
spiega con una precisione disarmante Amal. Grazie alla rete di organizzazioni
umanitarie kurde, aiuti e servizi sono stati forniti con enormi sforzi. Al
taglio arbitrario dell’elettricità e alla carenza cronica di acqua potabile, il
governo kurdo ha risposto con distribuzioni capillari di cibo, materiale
sanitario e acqua.
Parliamo con lei durante l’Eid al-Fitr, festa
che segue i sacrifici
Ma dov’è la normalità in Siria? Si
sono perse tutte le cose che si danno per scontato ogni giorno, dall’aprire
trascuratamente un rubinetto e veder uscire acqua, all’andare in un negozio a
comprare latte. «E sì, mi mancano le cose più banali. Una doccia calda, una
bottiglia di Coca-Cola, andare in bici a scuola».
I primi a fuggire da al-Hasakah, sono stati i
cristiani che hanno abitato la zona per decenni. Quasi 4.000 famiglie hanno
lasciato case e quotidianità. Deserto in pochi giorni il quartiere
sud-orientale di al-Nachwa. 120.000 persone hanno trovato rifugio in città e
villaggi circostanti, secondo i dati riportati dall’Ufficio delle Nazioni Unite
per il coordinamento degli affari umanitari. «Ho dormito in un campo
all’aperto per il caldo insopportabile. Di giorno invece eravamo ospitati in
chiese, monasteri e scuole», ricorda Sarah.
«Pregavo, ma non sapevo cosa cercavo con le
mie preghiere. Una parte di me era arrabbiata, un’altra parte si vergognava per
le scadenti condizioni a cui costringevo i miei figli». Oggi si
continua a vivere in un labirinto di processi amministrativi, si vive sotto
un’autorità, si ha paura di attraversare un territorio con un’autorità diversa.
E dove le due autorità si sovrappongono bisogna stare lontano dai guai.
«Al-Hasakah è divisa tra la milizia kurda e
le forze fedeli al presidente al-Assad. Vivo in un quartiere
controllato dalle forze di regime e evito il posto di blocco kurdo che mi
costringerebbe a fare il servizio militare obbligatorio», ci dice spaventato
Abood, appena 19 anni. Fa il tassista e
Al racconto di Abood si unisce Yana, i cui
genitori hanno un piccolo negozio in una delle sfortunate aree in cui sia il
regime sia le amministrazioni kurde hanno influenza. «Abbiamo pagato le tasse
governative mensili e, a sorpresa, una tassa settimanale alle autorità kurde,
per la pulizia delle strade».
Solo nell’agosto
«Quando la al-Hasakah-al-Shaddadah road è
stata chiusa dall’esercito kurdo, ci siamo sentiti in trappola nel mezzo di scenari
già vissuti. La paura dell’assedio ci ha perseguitati e oppressi, mentre
crescevano la carenza di cibo, acqua e medicine. Eravamo disposti perfino a
fuggire a piedi attraverso i ripidi percorsi di montagna», ci racconta Tejaw,
25 anni e quattro figli. «Anche l’aereoporto di Qamishli era inaccessibile. Chi
poteva volare? Solo chi aveva conoscenti che lavoravano per il regime siriano,
in particolare che lavoravano nella Air Force Intelligence Directorate. In
questo caso si potevano ottenere voli in aerei cargo per 160 dollari».
Anche se sempre meno civili hanno voglia di
discutere dell’attuale situazione in Siria, Tejaw ci fa entrare nella tenda in
cui vive nel campo di al-Hawl, a est di al-Hasakah, e inizia «I sostenitori
«Di cosa si moriva quando il califfato ha
rubato le nostre case? Di fame, povertà, omicidio, stupro, arresto,
macellazione. L’Isis non regala misericordia, se sei vecchio o bambino, uomo o donna. Ogni goccia
di sangue versata dal nostro popolo, ogni parete distrutta che portava storie
di generazioni, ogni vecchio quartiere spazzato via dalle cartine rappresentano
una storia persa, che non apparirà mai su nessun libro», continua.
Al-Hasakah è sempre stato uno degli obiettivi
principali dello Stato islamico. Considerando gli stretti legami tra
tribù arabe al confine tra Iraq e Siria, al-Hasakah rappresenta tutt’oggi il
più facile mezzo per un’ulteriore espansione trans-frontiera dei possedimenti
Il peso umanitario conta oltre mezzo milione
di sfollati interni da governatorati vicini, quali Deir Ezzor, al-Raqqa e
«L’Isis ha sempre imposto restrizioni ampie
alle libertà personali. Tutte le donne, comprese le bambine, avevano l’obbligo
di indossare il niqab, il velo integrale, pena la lapidazione pubblica. Niente
veli, guanti, borse, scarpe o accessori colorati. La città era una gigante prigione.
Internet in casa era vietato e la maggior parte delle reti pubbliche era
interrotta. I telefoni cellulari erano vietati e nessuno era autorizzato a
fumare sigarette nei luoghi pubblici», ricorda Tejaw.
«Dovevamo pagare ai funzionari del califfato
una somma a titolo di imposta, ed era anche previsto un dono volontario extra
di 2.000 lire siriane (10 dollari circa). Le persone non potevano
permettersi di comprare nulla. Molti negozi hanno chiuso e il prezzo
Telecamere sulle strade principali e
pattuglie della Hisbah, la polizia locale, erano il temuto occhio dell’Isis sui
civili delle città conquistate. Propaganda e indottrinamento erano ovunque. Dai
programmi scolastici al reclutamento militare. Nelle scuole è stato vietato
l’insegnamento della storia e
Al-Hasakah aveva dalla rete nazionale di 20
ore di elettricità al giorno, che sono scese prima a sei-otto, poi a meno di
due. Ogni quartiere della città aveva l’acqua una