Nella
teorizzazione del leader del Pkk Ocalan viene proposto un
parallelismo tra l’oppressione delle donne e l’oppressione nazionale dei curdi
chiamando ad una doppia liberazione. Questo processo di evoluzione è volto a
minare le basi della schiavitù delle donne su tre livelli: ideologica, militare
ed economica
di Francesca La Bella
Roma, 03 agosto 2016, Nena News – Le radici storiche
e ideologiche hanno tracciato le caratteristiche di un movimento solido e ben
radicato. Per questo motivo, anche l’analisi del
primo contributo teorico del
marxismo e dell’ecologismo radicale è cruciale per l’interpretazione di questo
fenomeno. Abdullah Ocalan ha studiato il socialismo per lungo periodo di tempo
e, pur avendo preso le distanze da molte delle strutture fondamentali del marxismo-leninismo,
ha mutuato alcuni tratti della sua analisi da questa esperienza storica. Il
concetto di liberazione delle donne è uno di questi.
Secondo il marxismo, la questione della
autorità dello Stato sul popolo è intimamente connessa con il potere del padre sulla
famiglia. Un’elaborazione organica di questa teoria è stata fatta nel 1884 con
il saggio di Friedrich Engels “L’origine della famiglia, della proprietà
privata e dello Stato”.
Secondo Engels, le donne hanno cessato di
essere protagoniste della storia, quando l’uomo ha cominciato ad avere una
proprietà privata da difendere. L’origine della proprietà privata ha, dunque,
segnato l’origine della famiglia monogamica e, di conseguenza, l’origine della
schiavitù della donna. In maniera non molto differente, per Ocalan
la giustificazione ideologica per concentrare l’attenzione del
movimento sulla questione femminile è conseguenza del legame ancestrale tra donna e natura.
L’equivalenza tra sottomissione delle donne, sfruttamento della natura e
colonizzazione del Kurdistan
ha reso le donne elemento inseparabile dalla liberazione nazionale curda e dal
progetto di cambiamento sociale. Nell’analisi di Ocalan, i curdi hanno,
infatti, perso la loro identità nello stessa fase storica in cui le donne sono
state private della loro autodeterminazione. Nella costruzione di una storia
curda, i miti tradizionali sono stati, dunque, utilizzati per presentare un
quadro in cui la liberazione del Kurdistan sarebbe strettamente dipendente dal
cambiamento della condizione delle donne curde.
In questo modo, il femminismo è diventato uno
dei pilastri della Confederalismo democratico teorizzato da Ocalan.
Nell’analisi del
PKK, le donne curde hanno subito una doppia oppressione (tripla adottando la
teoria marxista sull’oppressione di classe). La prima, condivisa con gli
uomini, è stata quella di essere parte di un popolo sotto il dominio di uno
Stato che non ne riconosceva l’esistenza. La seconda è stata quella vissuta
come donne. Come in molte parti del mondo, il Kurdistan in questo caso non è un’eccezione, è ritenuto
più importante garantire il diritto allo studio degli uomini piuttosto che
quello delle donne. Lo spazio pubblico, inoltre, viene considerato esclusivo
dominio maschile. Pertanto le donne, prima proprietà privata delle famiglie e,
in seguito, dei mariti, erano relegate in casa, private della possibilità di
studiare e lavorare, sottoposte ad abusi fisici e psicologici continui al fine
di imporre loro docilità e sottomissione.
Il leader del PKK ha, dunque, evidenziato un
parallelismo tra l’oppressione delle donne nella società curda e l’oppressione
nazionale dei curdi chiamando ad una doppia liberazione. Questo processo di
evoluzione è volto a minare le basi della schiavitù delle donne su tre livelli:
ideologica, militare (nel senso di uso della forza) ed economica. In quest’ottica,
uno degli aspetti centrali per la liberazione delle donne è il libero accesso a
tutti i livelli della vita pubblica e il rifiuto di un processo di
“casalinghizzazione” inteso come riduzione delle donne a proprietà degli
uomini. Il rifiuto del isolamento delle donne nella sfera privata può essere
considerato discendente dalla teoria marxista, ma l’analisi di Ocalan è andata
al di là della teoria marxista.
Per comprendere questa trasformazione del pensiero sembra
necessario analizzare gli scritti della donna che, per prima, ha introdotto
nella letteratura il concetto di “casalinghizzazione”: Maria Mies. Nei suoi
libri, Maria Mies ha espresso dure critiche alla teoria marxista, introducendo
i concetti di “uomo dominante” e di “casalinghizzazione”. A suo avviso
l’analisi marxista sul valore della forza-lavoro non pone attenzione al
rapporto tra uomo, lavorativamente attivo, e donna casalinga.
Così, se per i capitalisti, il lavoro delle
donne in casa è considerato una risorsa naturale, secondo la sua analisi, anche
nelle famiglie proletarie il lavoro femminile è considerato marginale. Da
questa considerazione deriva il concetto secondo il quale, in assenza di potere
contrattuale, le donne sono sottomesse dagli uomini proletari come le colonie
sono soggiogate dai colonizzatori. Allo stesso modo, Ocalan in
“Liberare la vita. La rivoluzione delle donne “ha definito la base di
oppressione delle donne descrivendole come la prima colonia e la classe più
oppressa. La “casalinghizzazione” è descritta come la più antica forma di
riduzione in schiavitù e la discriminazione di genere è considerata la base di
tutti i rapporti di potere diseguali come quelli tra diverse classi e popoli.
Il ruolo fondamentale degli studi di genere
nella teorizzazione di Confederalismo Democratico, ha sancito, così, un legame
inscindibile tra l’emancipazione femminile e il futuro del popolo curdo. In una prospettiva più
ampia il Confederalismo democratico, in parte a causa della guerra in corso in
Siria e delle politiche del governo turco nei
confronti del Kurdistan, è sempre più considerato dalla maggior parte del popolo curdo come la
principale alternativa per la liberazione. La partecipazione attiva
delle donne ha indotto un miglioramento della condizione femminile e, nel
mentre, ha portato un cambiamento nelle relazioni uomo-donna e ha aumentato la
consapevolezza degli uomini sulla questione. In questo senso, uno
sguardo alle donne che hanno contribuito in maniera significativa alla storia del PKK e del movimento
di liberazione nazionale curdo in Turchia è fondamentale per mostrare come
alcune donne abbiano assunto un ruolo di primo piano all’interno e all’esterno del partito. Tuttavia
Leila Zana o Sakine Cansiz non devono essere considerate eccezioni e le donne
sono sempre più coinvolte nel movimento nazionale curdo.
In questo contesto non può sorprendere la
reazione curda di fronte all’avanzata dello Stato Islamico (ISIS,
IS, Daesh). Le donne curde, obbligate ad affrontare una serie di
ostacoli, come la misoginia dei gruppi islamisti, la repressione politica dei
governi centrali, la guerra continua e un’economia in gran parte disintegrata e
la società, hanno oggi un ruolo fondamentale nella società curda.
Nella vulgata la donna, laddove non passiva e vittima della guerra, viene
considerata portatrice di pace e le donne armate sono considerate una
contraddizione in termini, un ossimoro. Per le donne curde, invece, la presa
d’armi contro Daesh è da considerare una naturale conseguenza del percorso intrapreso. Davanti ad un nuovo
soggetto che, imperialisticamente, ha cercato di imporsi, la risposta è stata
armata.
Le violenze, gli stupri, i rapimenti che i
membri dello Stato islamico hanno compiuto nella loro avanzata più o meno
ovunque ed in particolare contro la minoranza curda Yezidi a Shengal, hanno,
inoltre, dato la misura della centralità delle donne come strumenti di guerra.
La sessualizzazione dello sterminio non è sicuramente una novità e la stessa
storia recente è segnata da stupri e violenze a danni delle donne. La
violenza sessuale verso le donne curde accusate di sostenere il movimento
nazionale curdo è stata per molti anni, infatti, pratica comune del personale di
sicurezza turco. Laddove l’onore della famiglia viene rappresentato dalla
“purezza” della donna, la violenza contro il genere femminile diventa un’arma
di frammentazione della società e viene utilizzata sistematicamente
perché considerata legittima in quanto rivolta ad esseri inferiori, da trattare
al pari degli oggetti. Così la distruzione di un villaggio, delle opere d’arte
o il rapimento e la vendita delle donne sono aspetti diversi di una stessa
strategia di cancellazione dell’identità del
nemico.
Parallelamente, per il PKK , lo stupro viene
visto come una forma di violenza che, come ogni altra, ha lo scopo di
costringere gli esseri umani in condizione di obbedienza e può essere resa
inefficace solo attraverso la resistenza e la presa di coscienza. Di fronte a
questo, l’autodifesa femminile o la difesa condivisa di uomini e donne
rappresenta una reale alternativa a ciò che viene, invece, propagandato dallo
Stato Islamico. La resistenza curda, a Kobane prima e nei villaggi circostanti
e negli altri cantoni ora, è frutto anche di questo. Arrendersi all’IS avrebbe,
infatti, significato la fine del modello del Confederalismo democratico e la fine del processo di
emancipazione femminile.
Tuttavia, guardando ciò che sta accadendo
oggi in Turchia o in Rojava, bisogna sottolineare che si tratta di un contesto
bellico e che la presenza di un nemico tangibile, Stato Islamico o Stati nei quali
il Kurdistan è diviso, costituisce un forte stimolo alla coesione. La volontà del PKK di perseguire un
reale mutamento dei rapporti di genere e la sua capacità di farsi promotore di
una società diversa costruita anche sulla parità di genere dovranno essere
provate in una successiva fase di pace. Il percorso è stato intrapreso, ma il
processo per raggiungere l’uguaglianza completa nella società nel suo complesso
sembra essere solo all’inizio. Nena News
Per la
prima parte clicca qui
Francesca
La Bella è su Twitter: @LBFra