Posted date: August
05, 2016
Un progetto di Ponte Donna, finanziato anche dall’Otto
per mille valdese
Sta per cominciare la ricostruzione della Casa delle
donne a Kobane, spazio di condivisione e solidarietà, distrutta dai miliziani
di Daesh durante l’occupazione della città siriana. Il progetto di
ricostruzione del luogo di scambio ed empowerment femminile è stato ideato
dall’associazione romana Ponte Donna ed è stato finanziato anche dall’Otto per
mille della Chiesa valdese: «siamo partite con un utopia, siamo tornate con un
progetto concreto», racconta Carla Centioni, presidente dell’associazione.
Perché Kobane?
«Ponte Donna si occupa di donne e nello specifico di
violenza, ha gestito dei centri e l’attenzione alle tematiche femminili è
centrale nella sua attività. In questo contesto, quando c’è stata l’occupazione
di Kobane da parte di Daesh e si sono formate le prime staffette di
solidarietà, noi abbiamo voluto realizzarne una di donne, nel febbraio del
Le immagini delle donne curde col fucile ci hanno
fatto immaginare un’emancipazione che ripartiva dalla consapevolezza e
dall’azione: ma c’è molto di più oltre a questo.
«Sì, c’è molto di più. L’immagine che abbiamo visto è
una delle motivazioni che mi hanno spinto ad andare a Kobane: un’immagine
riduttiva, strumentale e occidentale. Il corpo delle donne curde qui in
occidente veniva dipinto come “le donne con kalashnikov”, ma loro hanno una
consapevolezza molto più alta rispetto al fucile che portano addosso. Anche la
nostra idea di ricostruire la Casa delle donne si è trasformata con l’incontro:
si è fatta strada la possibilità di creare un luogo di incontro con tutte le
donne del mondo, dove ognuna dal suo paese porti la propria pratica, le proprie
idee e dove possa vivere quello che abbiamo vissuto noi, diventando dunque
un’accademia, un luogo ancora più forte di ricerca e formazione».
Cosa prevede il progetto edile della casa?
«Siamo partite con un’utopia, siamo tornate con un
progetto concreto. Abbiamo lavorato insieme a volontari che ci hanno creduto,
mentre con degli ingegneri ci siamo procurate delle foto satellitari per
realizzare un computo metrico, cercato i materiali per la costruzione per poi
immaginare come edificare la casa: uno stabile di tre piani, con una foresteria
all’ultimo per l’accoglienza di uomini e donne da tutto il mondo, perché questo
luogo diventi una testimonianza di una liberazione possibile».
Con quali altre associazioni avete collaborato?
«Come partner del progetto abbiamo il Koerdisch
Instituut di Bruxelles, che si occupa di cultura curda, Uiki Onlus che si
occupa dei contatti politici e Lucha Y Siesta, un centro antiviolenza di Roma.
Costruire la casa sarà possibile anche grazie al finanziamento dell’Otto per
mille della Chiesa valdese».
Come avete incontrato questa chiesa?
«Sono gli unici che hanno creduto in questo progetto.
Il moderatore della Tavola valdese ha apprezzato l’idea ma ci ha chiesto molta
concretezza, che siamo riuscite a realizzare solo dopo un anno. Volevo che il
progetto fosse molto credibile e realistico, e ha funzionato».
di Matteo De Fazio
Riforma
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