29 -08- 2016

Continua l’offensiva turca nel nord della Siria. Ieri gli attacchi di Ankara hanno ucciso almeno 45 persone. Ma la comunità internazionale tace. 15 i morti per le bombe a barile sganciate da al-Asad ad Aleppo. E’ iniziata l’evacuazione di Daraya dalle forze ribelli

di Roberto Prinzi

Roma, 29 agosto 2016, Nena News – “Faremo qualunque sforzo per ripulire la Siria da Daesh [acronimo arabo per “Stato Islamico”, ndr]. Quanto alla questione del partito terrorista [curdo] dell’Unione democratica (Pyd) noi avremo esattamente la stessa determinazione [nel distruggerlo]”. E’ un Erdogan ringalluzzito dai “successi” militari del suo esercito in Siria quello che ieri ha parlato ad un raduno a Gazantiep, nel sud della Turchia a confine con la Siria. Il presidente turco si è recato lì ufficialmente per mostrare vicinanza alla città ancora scossa dal devastante attentato suicida della scorsa settimana che ha causato la morte di 55 persone.

“Siamo pronti e determinati a ripulire la regione dai gruppi terroristici – ha detto arringando la folla – ecco perché siamo a Jarablus, ecco perché siamo a Bashiqa (in Iraq). Se necessario, noi non mancheremo di assumerci la stessa responsabilità in altre aree. Non permetteremo assolutamente alcuna attività terroristica vicino ai nostri confini”. Sì perché per Ankara il jihadismo dello “Stato Islamico” e di gruppi ad esso non molto dissimili per visione e pratiche politiche non è diverso dall’azione dei curdi siriani: entrambi sono “terroristi”. Entrambi (teoricamente) vanno eliminati.

L’attentato di Gaziantep – la cui matrice non è ancora stata chiarita – ha segnato un punto di non ritorno nel conflitto siriano. Due giorni dopo l’attacco suicida, infatti, la Turchia ha deciso di lanciare la sua operazione militare “Scudo d’Eufrate” nel nord della Siria. Ufficialmente per fermare le “attività terroristiche” (dopo averle per anni sponsorizzate, si chieda ai jihadisti). Nella realtà dei fatti per fermare il prima possibile il progetto delle Ypg (le unità combattenti del Pyd) di unificare i tre cantoni curdi di Afrin, Kobane e Cezire. Un segreto di pulcinella: anche lo “Stato Islamico” (Is) sa perfettamente che i soldati del “sultano” fanno meno paura di quanto le dichiarazioni ufficiali sembrerebbero dimostrare. Nel mirino dell’esercito e dell’aviazione turca ci sono soprattutto loro, i combattenti curdi. “L’uguale energia” che Erdogan ha detto ieri che sarà spesa contro i jihadisti di al-Baghdadi e le Ypg è solo uno slogan vuoto per non far adirare troppo gli alleati, soprattutto quelli della Casa Bianca.

E così che dalle parole si è passati immediatamente ai fatti: ieri le forze armate turche hanno aumentato la loro offensiva (arrivata oggi al sesto giorno) con aerei da guerra e artiglieria e hanno colpito ripetutamente i combattenti turchi nel nord della Siria. Negli attacchi sono rimasti uccisi almeno 35 civili (decine le persone ferite) a Jeb el-Kussa, un villaggio a confine con la Turchia. Secondo l’Osservatorio siriano dei diritti umani, altri 15 civili hanno perso la vita in un altro raid in un’area vicina.

L’offensiva turca procede spedita nel silenzio della comunità internazionale. Le bocche cucite di europei e degli statunitensi sono emblematiche dell’ipocrita lotta occidentale contro il terrorismo di matrice islamica in Siria e Iraq, ma anche di quanto a loro stia così poco a cuore il rispetto dei diritti umani (sbandierati a intermittenza per mere convenienze politiche). Nessun commento è finora giunto dal parlamento europeo e dagli Usa circa la pericolosa escalation militare in corso in Siria. Parigi – primo sponsor europeo dei ribelli siriani – non si è ancora indignata: forse sarà la questione burkini sulle spiagge della Costa Azzurra che l’avrà distratta. Di Obama si sono perse le tracce.

Del resto come non comprendere il grosso imbarazzo della sua amministrazione: a combattersi sono due forze che ricevono contemporaneamente sostegno militare made in Usa e, teoricamente, sono entrambe impegnate a combattere l’Is (la Turchia fa parte della coalizione a guida statunitense contro lo Stato islamico ed è membro della Nato). Un pasticciaccio che farebbe anche sorridere se non ci fossero di mezzo le vite dei civili e la distruzione di un Paese che mai più tornerà a risplendere (ci auguriamo vivamente di sbagliare).

Resta ora da capire soltanto quanto ancora questo silenzio continuerà: l’offensiva di Ankara durerà di sicuro finché i curdi non si saranno ritirati a est del fiume Eufrate e avranno abbandonato il loro proposito di collegare i tre cantoni curdi nel nord della Siria. Ankara fa la gradassa perché sa di avere il tacito sostegno di Mosca, del governo siriano e dell’Iran: tutti sono favorevoli ad un ridimensionamento dei curdi, nonostante siano i principali protagonisti dell’arretramento dello “Stato Islamico” in Siria (l’ipocrisia è l’unico elemento che unisce tutte le forze presenti in campo).

L’escalation siriana potrebbe avere però ripercussioni negative in Turchia scatenando sempre più gli attacchi del Pkk contro target militari turchi gettando ancora di più il Paese nel caos totale (come se non bastasse già la caccia alle streghe contro qualunque voce di opposizione in corso da 3 anni a questa parte, non solo dal fallito golpe di metà luglio come spesso si ricorda). Certo la mano libera data da Mosca e Teheran ad Ankara contro i curdi ha avuto un prezzo: Erdogan ha dovuto accettare la presenza del presidente siriano al-Asad in un futuro governo di transizione. Una prospettiva impensabile fino a poco più di un mese fa.

La guerra della Turchia in Siria è però dal punto di vista del presidente una scelta obbligata qualunque siano gli “effetti collaterali” da pagare: sabato un militare turco è stato assassinato vicino al villaggio di al-Amarneh nel nord della Siria. Altri tre soldati – riferisce l’agenzia turca filo governativa Anadolu – sono rimasti feriti in un attacco con razzi lanciati dai combattenti curdi del Ypg. Dispiace, ma la macchina da guerra deve avanzare.

Nel nuovo scenario geopolitico e militare che si è venuto a creare nelle aree a confine tra la Siria e la Turchia ad approfittarne sono i ribelli siriani “moderati” che, rinvigoriti dal sostegno turco, hanno espulso ieri i curdi da alcuni villaggi a ovest dell’Eufrate. Tra le aree ripulite, vi è quella di Amarneh dove da giorni la battaglia tra gli alleati turchi e le Ypg si è molto intensificata. “Le forze curde devono ritirarsi ad est dell’Eufrate. Combatteremo i gruppi terroristici, tra cui anche quelli curdi, anche in tutta la parte nord orientale di Aleppo” ha dichiarato il Capitano Abdel Salam Abdel Razzak, portavoce del gruppo Nour ad-Din el-Zinki. I ribelli – ha rivelato Abdel Razzak – si sposteranno a sud di Jarablus, verso Manbij [da poco liberata dal controllo Is dalle Forze siriane democratiche a guida curda, ndr] e da lì continueranno ad avanzare”.

Ma le violenze proseguono imperterrite anche in altre aree del Paese. L’aviazione siriana ha nuovamente bombardato ieri il quartiere di al-Waer a Homs (nella Siria centrale). Un attivista locale ha riferito che i raid hanno ucciso una persona. Al-Waer (75.000 abitanti) è l’ultima sacca di resistenza ribelle rimasta in città dall’anno scorso ritornata sotto il controllo di Damasco. Si combatte anche ad Aleppo dove un attacco con bombe a barili da parte del governo siriano ha ucciso almeno 15 persone nel distretto di Maadi (controllato dai ribelli) nella parte orientale della metropoli. Intervistato da al-Jazeera, un soccorritore ha detto che l’attacco ha avuto luogo vicino ad una tenda dove diverse persone stavano ricevendo le condoglianze per le 15 persone uccise all’inizio della scorsa settimana nel distretto di Bab an-Nayrab.

Ieri, intanto, il primo gruppo di ribelli e delle loro famiglie ha evacuato la cittadina di Daraya. Secondo quanto riferisce l’Osservatorio siriano, almeno cinque bus avrebbero trasportato combattenti e civili nella città settentrionale di Idlib come stabilito dall’accordo raggiunto venerdì tra governo siriano e opposizione. Daraya, a soli 15 minuti di macchina da Damasco, è stata una delle prime cittadine in Siria a ribellarsi contro al-Asad ed è diventata simbolo della “rivolta” contro il presidente siriano. Circondata dai lealisti del regime dal 2012, è ritornata nelle mani del governo la scorsa settimana. Nena News

Roberto Prinzi è su Twitter @Robbamir