2016-07-05-N_
30 -08- 2016
Decine di
civili uccisi. I “ribelli”sotto la Turchia minacciano Manbij di invasione. Gli
di Chiara Cruciati il Manifesto
Roma, 30 agosto 2016, Nena News – Il popolo
di Rojava ha versato troppo sangue per arrendersi ora all’aggressione della
Turchia che prova a chiuderlo in un assedio fisico: «Da tre giorni carri armati
e bulldozer turchi entrano nel territorio di Kobane dal valico di Mursitpinar e
portano avanti la costruzione di un muro – ci dice al telefono Idriss
Nassan, ex portavoce del cantone di Kobane – Hanno già scavato un
fosso e portato dentro blocchi di cemento».
«La gente protesta da tre giorni, dandosi il
cambio al confine, 24 ore al giorno. Ma non riusciamo a fermarli: i bulldozer
entrati oggi (ieri, ndr) sono protetti dai carri armati. È una
violazione
L’obiettivo turco a Kobane è lo stesso che
nel resto di Rojava: una barriera fisica che penetri in territorio siriano per
La gente lo sa: ieri in migliaia sono scesi
in piazza a Til Temir, Zirgan e Dirbesiye, per protestare. L’aggressione monta
di ora in ora, tra domenica e ieri l’artiglieria turca ha aperto il fuoco 61
volte.
Domenica è stato il giorno più duro, con 45
morti tra Jeb al Kussa e Amarna: «A Jeb al Kussa hanno compiuto un massacro –
dice Nassan – Almeno 30 civili uccisi, con l’artiglieria, con i raid. La
Turchia manda avanti l’Esercito Libero Siriano. Eppure le Ypg (le Unità di
Difesa Popolari kurde, ndr) hanno annunciato il ritiro dal sud di
Jarabulus, proprio per salvaguardare i civili. Non significa che ci
arrenderemo: difenderemo la nostra gente e il nostro territorio».
Ankara non pare, infatti, intenzionata
a fermarsi a Jarabulus: tramite l’Els ha preso 10 villaggi liberati dalle Ypg e
prosegue l’avanzata. A questo – era chiaro da subito – serve
l’operazione “anti-Isis” Scudo dell’Eufrate. Invece di inseguire gli islamisti
in fuga da Jarabulus, Ankara si muove palesemente verso est, il cuore di
Rojava.
Ora è a soli
A dare quella che ritiene essere un’efficace
copertura “legale” ad una vera e propria invasione ci ha provato ieri il
ministro degli Esteri Cavusoglu: «Nei luoghi in cui arrivano le Ypg costringono
tutti alla fuga. Compiono una pulizia etnica».
Ma la rinnovata aggressività turca spaventa
anche gli Stati Uniti che dopo le riverenze ora chiedono ad Ankara di fermarsi. Era stato il
vicepresidente Biden a inchinarsi mercoledì a Erdogan facendo mea culpa per i
ritardi nella condanna
In un tweet il portavoce del Dipartimento
della Difesa, Peter Cook, ha tolto a Scudo dell’Eufrate la copertura Usa: «Stiamo
monitorando da vicino gli scontri a sud di Jarabulus, dove l’Isis non è più
presente, tra forze armate turche, alcuni gruppi di opposizioni e unità
affiliate alle Sdf. Riteniamo questi scontri inaccettabili. Non siamo coinvolti
in queste attività, non sono state coordinate con noi e non le sosteniamo».
Immediata la reazione stizzita di
E se gli Usa, al solito, si barcamenano per
salvare capra e cavoli, Mosca resta colpevolmente silente sia di fronte
alle azioni militari che alle dichiarazioni di guerra, quelle pronunciate
domenica da Erdogan davanti ad una folla acclamante a Gaziantep,
diversa da quella che lo ha accolto dopo il massacro al matrimonio kurdo
dandogli dell’assassino. Damasco, da parte sua, ha di nuovo condannato «le
ripetute violazioni e i massacri» cdella Turchia nel nord
Chiara Cruciati è su Twitter
@ChiaraCruciati